sabato 26 maggio 2018

La gente vuole, diceva il Bandana.

I nuovi fazzolettini gialloverdi (nuovi? Salvini è in politica da 25 anni ...) parlano addirittura in nome del popolo. Del popolo che “vorrebbe”. Con molta sicumera (ma che ne sapete delle aspirazioni di tanti che sono popolo almeno quanto i vostri elettori?) e tanta confusione. Basta scorrere i punti del “contratto” per capirlo. Meno tasse e più spese, senza curarsi del bilancio, perché il popolo “vuole” così. Senza tener conto, però della differenza tra “volontà di tutti” e “volontà generale”. Due termini introdotti solo da Rousseau, ma facilmente comprensibili. La “volontà di tutti” è quel che chiunque desidera quando pensa solo a se stesso e all’immediato. “Tutti” vorrebbero pagare meno tasse. Anzi, non vorrebbero pagarne per niente. “Tutti” vorrebbero andare in pensione prima, magari al compimento della maggiore età. La “volontà generale”, invece, è quella dei cittadini che non guardano solo al proprio ombelico e al presente. Avere strade, scuole e ospedali è “volontà generale”, come è “volontà generale” che si paghino le tasse necessarie a mantenerli. Una “volontà generale” che certo definisce un popolo più dell’etnia o della lingua, ma che proprio i nostri populisti preferiscono ignorare. Perché nasce dalla ragione, e non dalle viscere. Perché soddisfarla non si traduce subito in un consenso come quello che hanno appena conquistato. Assai ampio, anche secondo i sondaggi, rende di nuovo attuale pure un altro dei temi già cari al Bandana. Il risultato, anzi, della diseducazione civica operata negli anni dalle sue tivù: la convinzione che la democrazia consista nello strapotere della maggioranza. Nulla di più sbagliato. Nell'Italia del ‘36 quasi tutti erano favorevoli al regime, come quasi tutti erano nazisti nella Germania di allora o comunisti nell'Unione Sovietica stalinista. Tre casi in cui governava chi, eletto o no, aveva il sostegno della maggioranza. Governava con potere assoluto, però, è proprio per questo era un dittatore. La democrazia, infatti, è altro. È l’insieme delle regole che frenano il potere dei più perché siano rispettati i diritti delle minoranze. Regole, fissate nel marmo delle Costituzioni, che hanno anche un altro scopo. Quello d’inserire l’operato dei governi, transitori come le fortune elettorali, in progetti di portata storica che leghino tra loro le generazioni e saldino le nazioni. Qualcosa che dovrebbe capire anche chi ora sventola il tricolore, magari dopo aver scoperto un tardivo amore per l’Italia. Un paese creato dai millenni e una Repubblica che non si fonda sui moti intestinali, ma sulle pietre posate dai suoi Padri. Qualche loro nome? Einaudi, Giolitti, De Gasperi, Saragat, La Malfa, Togliatti, Nenni, La Pira, Foa, Dossetti, Terracini, Parri, Bobbio, Lombardi, Croce e, certo, Pertini. Meglio ricordarli prima che qualcuno, in questo tempo analfabeta, li includa tra le odiate elite. Magari per poi, in nome del “popolo”, destinare al rogo il loro capolavoro.

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