Lo dico, mostrando le immagini dell’ascia di pietra, e i loro occhi s’illuminano. Le labbra di uno di loro mormorano quei due termini inusitati, “amigdala” e “Acheuleano”. Era la mia prima lezione di Storia dell’Arte. Prima come insegnante. Loro, erano un piccolo gruppo di anziani. Pensionati da cui, alla fine, sono stato io ad imparare. Subito, in quella prima occasione, mi hanno fatto capire come apprendere, in fondo, significhi ampliare il proprio lessico. Qualcosa di cui ho tenuto conto nel seguito di quel corso. In ogni lezione cercavo di insegnare loro qualche termine nuovo, cose come “transetto” o “gargolla” se si parlava di cattedrali. Parole affascinanti ai loro occhi e importanti perché consentono precisione e concisione. Tutto questo per dire che non ho nulla contro l’uso di un linguaggio specialistico. Se si è tra specialisti, però. Ricordando che a ogni parola insolita sottoponiamo a un piccolo esame i nostri ascoltatori o lettori. E che nessuno vuole essere bocciato. Per giunta, resto convinto che si possa parlare di qualunque argomento con i termini che useremmo tra amici, al Bar dello Sport. Magari usando tre parole al posto di una; magari introducendo qualche termine nuovo, ma solo dopo averlo spiegato. Per giunta, da montanaro, ho sempre dei sospetti nei confronti di chi ricorre a un linguaggio troppo forbito. Temo di essere fregato, certo, come se mi trovassi davanti ad un Azzeccagarbugli. Soprattutto, ho l’impressione che il mio interlocutore voglia nascondere, dietro il velo di qualche parolone, la propria ignoranza. Per restare con Manzoni, avete presente Don Abbondio e il suo latinorum? Ecco, ho la sensazione di avere a che fare con un suo simile; non con un intellettuale, ma con un incompetente. Sensazione che ritrovo, in questi giorni, leggendo i commenti al risultato elettorale di tanti politologi di più o meno chiara fama. In particolare di quelli impegnati in una rivalutazione a posteriori del M5S. Dai “nuovi modi della post-politica” alle “forme reticolari superamento di quella partito” non si arriva solo alla “politicizzazione collettiva grazie alle tecnologie mediali”. Spandendo nell’aria l’incenso maleolente di un pessimo italiano, ci si genuflette e si intona il peana al vincitore. In attesa di salire sul suo carro come da tradizione nazionale. Antica. Antichissima. Forse risalente all'Acheuleano.
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