lunedì 2 luglio 2018

Non cercate soluzioni ai problemi del nostro paese di dannati.

Quei problemi non interessano e siamo dannati proprio per questo. Noi e tutta Europa. Cerchiamo favole da raccontare. Sono tutto quello che importa nell’era della post-verità. Guardiamo alla Polonia. Senza stranieri ma ossessionata dai migranti che, da quelle parti, proprio non ci sono. Pensiamo alla Repubblica Ceca. Senza crisi, anzi in peno boom economico, ma dove avanzano le peggiori destre. E ora guardiamo a noi. Lasciamo perdere l’indegna gazzarra sui rifugiati; un tema su cui è diventato impossibile ragionare. Parliamo di sicurezza, invece. Sono di un paio di giorni fa i dati definiti del 2017. Ci sono stati 343 omicidi. La metà di quelli avvenuti nella sola città di Chicago. Un sesto di quelli che accadevano vent’anni fa. Un quindicesimo, forse un ventesimo, di quelli che avvenivano ogni anno nell’Italia fascista. In un’epoca tremenda anche dal punto di vista della criminalità, ma resa dorata dalla propaganda. Da quella vecchia e dalla nuova, fatta di pessimo giornalismo e mirata disinformazione. Non si uccide quasi più, sono in costante diminuzione i furti e, negli ultimi dieci anni, si sono dimezzate le rapine eppure i dannati hanno paura. Vogliono avere paura. Un’emozione forte nel grigiore di vite insopportabili. Consumo di superalcolici e di psicofarmaci: sono i dati che aiutano a capirli. Seguono preoccupati l’evolversi di un’epidemia in Indonesia ma non smettono di fumare. Si sono sentiti in prima linea durante la Guerra del Golfo. Li ricordate? Il fronte a 5000 chilometri e loro all’assalto dei supermercati in vista della più improbabile delle carestie. Basta poco a scatenare il panico. E’ facile il compito degli untori della paura. Un delitto nella provincia vicina e poco importa che l’Italia sia uno dei paesi più sicuri del mondo: legioni vorrebbero la pistola in casa. Per proteggere donne e bambini. Leoni di cartapesta convinti di diventare veri uomini con un chilo di ferro tra le mani. Mentre nessun bambino, credo, è stato vittima di un delitto nel 2017. Mentre quasi la metà delle 150 donne uccise l’anno scorso sono state ammazzate da mariti e fidanzati. Donne e bambini che, piuttosto, andrebbero protetti dai dannati con la pistola nel cassettone. Quelli che vorrebbero fare “come in America”. Tutti sceriffi e 30.000 (si: trentamila) morti per armi da fuoco ogni anno. Ancora un numero. Rapportati ai nostri 60 milioni di abitanti quei morti diventerebbero almeno 5.000. Un altro ragionamento. Proprio quello che non serve per scalfire le certezze di chi ha bisogno di fiabe per sopravvivere. E di ricette miracolose. E di capri espiatori. Narrazioni, questa è la parola chiave, cui dobbiamo sostituirne altre. Positive. Propositive. In qualunque modo possibile. Tutto per non farci portare a fondo da quella che oggi, forse, è la grande maggioranza. Quella che i cinici operatori di borsa hanno sempre chiamato parco buoi. Da menare per il naso. Da portare al macello.

domenica 1 luglio 2018

Per fortuna ho creduto di dover morire.

Dodici anni fa. Niente di troppo grave: alla fine sono qui che vi scrivo. Solo tanta paura, prima. Poi, dopo notti insonni, una strana calma. Una quieta forza. E la decisione di lasciare la bella casa, il macchinone e il lavoro molto ben pagato. Tutto quel che all’improvviso mi è sembrato secondario. Semplicemente perché non potevo perdere altro tempo lontano dal mare e cercando d’essere quello che non ero. Secondo molti sono impazzito. Invece, ero maturato. Finalmente. Una nota personale che, forse, avrei potuto evitare citando un libro: “Essere e tempo”. Non credo di averlo davvero capito; di certo non tutto. E’ troppo densa la scrittura di Heidegger; mi fa venire il mal di testa. Un concetto, però, l’ho afferrato. Proprio per aver vissuto quei momenti. Prima o poi si raggiunge quella che Heidegger chiama “età della deiezione”. (Sì, fa un po’ ridere quel termine ...). Un’età in cui ci spogliamo del superfluo per concentrarci sull’Essere. Sull’essenziale, se volete. Un momento che arriva quando la fine di tutto smette di essere una vaga idea per diventare una certezza di cui resta ignota solo l’ora. Quando ci dobbiamo confrontare con quella che Heidegger definisce “la possibilità della mancanza di possibilità”. Qualcosa di molto simile alla fase storica che stiamo vivendo. Mentre contempliamo la possibilità della fine della democrazia e la sua deriva verso un autoritarismo che di democratico conserva solo la forma. Mente assistiamo alla trasformazione dell’Europa in una somma di rancorosi nazionalismi. A una generazione, al massimo, dall’abisso. Una visione che rende assurdo esitare oltre. Non fatemi torto. Non chiedetevi quale capo o capetto della sinistra abbia in mente. Per me sono solo nomi. Non penso neppure alla sola sinistra. Ricordo i nostri padri e nonni. Quello che fecero nel 1943, anche loro davanti alla “mancanza di possibilità”. Rimasero comunisti o cattolici, liberali o socialisti, ma trovarono il modo di lottare assieme. Di restare uniti fino ad avviare una ricostruzione più facile, per molti versi, di quella che ci aspetta. Mentre sono in rovina anche le categorie del vero e del giusto. Mentre vanno ricreate le condizioni minime per fare politica. La ragione ultima per cui spero, alle prossime elezioni, se e quando ci saranno, di poter votare per un nuovo CLN. Quale che sia il suo nome. Quali che siano i partiti che lo comporranno. Chiunque sia il suo candidato. Non una resa agli eventi ma, appunto, un atto di maturità. Doveroso, mentre troppi adolescenti mai cresciuti, tanto infantili da credere ancora alle favolette, continuano a sognare “l’uomo forte”.