sabato 16 giugno 2018

Siamo tutti ostaggi.

Italiani e francesi. Ormai anche i tedeschi. Tutti ostaggi di un “sovranismo” che spinge i singoli stati all’egoismo, che li fa richiudere in se stessi, salvo poi ululare all’inutilità dell’Europa; di quella stessa UE che fa di tutto per sabotare. Pensate al pessimo Macron. Pessimo non per quel che ha detto, ma per averlo detto proprio lui, che in tema di rifugiati si è comportato da perfetto leghista. Scelte vili, le sue, cui però è stato spinto dalla presenza nel suo paese di Marine Le Pen e del Front Nazionale; cui è stato forzato da un’opinione pubblica sobillata proprio dai comparucci di Salvini. Un tre-tavolettaro d’eccezione il nostro ministro degli Interni (con licenza d’occuparsi di tutto, ma proprio tutto). Ferocemente antitedesco l’altrieri (ma prima sognava una Padania satellite della Germania) fino a stamane era ovviamente in guerra contro l’iniqua Marianna e domani forse attaccherà la Spagna. I paesi con cui prendersela, però, in tema di rifugiati sono altri. Nel 2017 la Germania ne ha accolti mezzo milione (524.185). La Francia del già citato pessimo ha comunque garantito asilo a 110.945 persone. Noi, invasi da milioni (in realtà sui barconi sono arrivati 119.247 ) abbiamo finito per dare asilo a 78.235 rifugiati. Subito dopo di noi, nella classifica dell’accoglienza, arriva la feroce Austria. Feroce ma che ha dato asilo, piccola com’è, a 56.285 persone. A non fare quasi niente sono proprio i paesi del gruppo di Visegrad cui Salvini vorrebbe accodare l’Italia. La Polonia, che non accetta rifugiati dal Nord Africa o dal Medio Oriente. L’Ungheria, che nel 2017 ha concesso asilo solo a un migliaio (1.216) di persone. Ungheria contro cui Salvini non dirà una sola parola. Anzi, che elogia. Governata da un altro dei suoi beniamini, Viktor Orbán. Idee da anni trenta (quelle idee) e solo quel minimo di rispetto delle forme democratiche ancora necessario di questi tempi. Un altro “sovranista. Anche lui, come tutti gli altri, impegnato ad erodere le fondamenta dell’UE. Con politiche che sembrano strettamente coordinate tra loro. Quasi là fuori un grande regista avesse organizzato il sequestro di tutto un continente.

mercoledì 13 giugno 2018

Cari amici grillini e lontani,

prima di farvi fagocitare dal fascio-leghismo, venite a fare un giro con me. Cominciamo da Brescia. Secondo le statistiche è una delle città italiane con più stranieri. Andandoci si ha quell’impressione. Resta bianchissima, non la si potrebbe confondere con una città inglese o francese, ma certamente si vedono parecchi neri. Per i bresciani, però, non sono un problema. Non così grande, abbiamo visto, da far loro scegliere un sindaco leghista. Poi andiamo nelle valli bianco latte. Di neri, da quelle parti, quasi non ce ne sono. La gente, però, vota in massa per la Lega. Parla d’invasione e della necessità di fermare le orde africane. Qualcosa del genere si constata andando prima a Milano, che non è Parigi o Londra ma nelle cui strade vedrete anche gente di colore, e poi nella mia Brianza dove ci sono decisamente meno stranieri. Nella metropoli la Lega non sfonda; dalle mie parti i leghisti sono maggioranza. Iniziate a sospettare qualcosa? Visitare l’Ungheria o la Polonia dovrebbe bastarvi. Quasi nessun nero o islamico, eppure popolazioni pronte a votare a destrissima; per chi promette di proteggere la cristianità di quelle terre assediate da va a sapere chi. Mentalità d’assedio che ha poco a che vedere con la geografia. Ultima fermata la California. Il Carotone gioca allo statista con l’amichetto coreano, ma laggiù ha preso una scoppola. In quello stato l’invasione messicana c’è davvero. Si sente parlare spagnolo ovunque. Nessuno, però, si sogna d’invocare il muro, e il candidato repubblicano, nel primo turno per l’elezione di un senatore tenutasi pochi giorni fa, ha racimolato la miseria dell’8 (otto) %. I più trumpiani, spaventati dai messicani “stupratori”, vivono nel mezzo dell’America, dove di forestieri se ne vedono pochi. Capito, ora? Non è il numero degli stranieri a produrre insofferenza. Quasi il contrario. Dove ce ne sono pochi, dove si può vivere senza avere a che fare con loro, prevalgono i pregiudizi, rinforzati dalla pessima predicazione dei Salvini locali. Dove sono più numerosi, dove inevitabilmente finiscono per diventare vicini di casa e colleghi, si arriva a scoprire che sono semplicemente altri esseri umani, né più né meno di noi. Bene. Detto questo, piantatela di ripetere “sono troppi”, “la gente non ce la fa più”, “bisogna dire basta” e tutte le altre baggianate, contrarie a ogni evidenza statistica, della propaganda leghista. Ricordatevi che a livello nazionale gli stranieri, per la maggioranza romeni e albanesi, rappresentato solo l’8, 3% della popolazione, mentre a Brescia sono quasi il 19%, e tornate a ragionare. Vi lascio complimentandomi per l’attenzione che dedicate ai migranti pur sapendo che per la loro accoglienza spendiamo un misero 0,3% del Pil. Posso solo immaginare quanto vi impegnerete quando si tratterà di affrontare i problemi veri del paese. Prima o poi. Quando e se Salvini ve ne darà il permesso.

martedì 12 giugno 2018

Il viaggio del transatlantico Saint Louis.

Ne ho già scritto, ma non posso fare a meno di ripensarci. Salpò da Amburgo il 13 maggio 1939 con a bordo 930 ebrei in fuga dalla Germania nazista. Oggi li chiameremmo rifugiati. Richiedenti un asilo che fu loro negato dalle autorità cubane, statunitensi, canadesi, inglesi .... Nei vari paesi in cui la nave attraccò fu consentito di sbarcare solo a piccoli gruppi di passeggeri. Alla fine rimasero a bordo in 620 che dovettero tornare in Europa. Solo ottantasette di loro riuscirono a lasciarla di nuovo prima dello scoppio della guerra. Più di duecentocinquanta dei restanti morirono nei campi di stermino. Una tragedia minore dentro quella immane dell’Olocausto e, nel contempo, una macchia indelebile per l’onore (scusate se uso questo termine antiquato) dei governi che decisero di lasciare quegli uomini e quelle donne al loro destino. Fatte le debite proporzioni, oggi è accaduto qualcosa di simile. Ringraziamo pure la Spagna che accoglierà i 629 a bordo dell’Acquarius. Non festeggiamo, però. Non c’è proprio nulla da festeggiare. Il nostro ministro degli Interni, con alle spalle un partito votato sì e no dal 13% degli aventi diritto, ha compiuto una scelta che si può difendere solo chiamando in causa la discutibile categoria del conveniente, ma senza riguardo a quelle del giusto, del doveroso e dell’umano. Il viaggio dell’Acquarius non finirà nel dramma. Per noi italiani, tutti, resta la vergogna. Oggi non abbiamo dimostrato all’Europa e al mondo la nostra forza. Guidati da chi fino all’altrieri diceva di non riconoscersi nella nostra bandiera, abbiamo esibito tracotanti il volto sfigurato di un paese ormai senz’anima. Accompagnato dai cori beceri sollevati in rete da un razzismo ignobile, il più disgustoso dei nostri ritratti.

lunedì 11 giugno 2018

Salvini blocca i porti, voi esultate

e io potrei inondarvi di cifre. Mostrarvi una volta di più come siamo tra gli europei che hanno accolto meno rifugiati. Un quinto dei tedeschi, un decimo degli svedesi e molti meno anche dei “feroci” austriaci, rispetto alla popolazione. Potrei mostrarvi anche altre statistiche: come non ci siano quasi più rapine e siano in diminuzione anche i furti. Potrei ricordavi che l’anno scorso abbiamo avuto 350 omicidi, un sesto di quelli che avvenivano nell’Italia in cui siamo cresciuti e meno di un decimo di quelli cui assistevano ogni anno i nostri nonni, quando c’era lui. Preferisco dirvi del giornale della mia provincia. La Provincia, appunto. Un paio d’anni fa intervenne il prefetto, con una lettera aperta, perché la smettesse di strillare titoli isterici mentre il numero dei reati raggiungeva il suo minimo storico. Strilli che però continuano e sono arrivati al ridicolo. Rubata una bicicletta, titolava oggi. Sissignore: quel furto neo-realista è stato l’unico fatto “di cronaca nera” nel fine settimana di quasi un milione di abitanti. Questo e, non me lo invento, due “avvistamenti di ladri”. Persone che si aggiravano con fare sospetto. Va a sapere a giudizio di chi. Persone cui domani si potrà sparare, magari, grazie alla nuova legge sulla legittima difesa. Nuova e doverosa, immagino, per fornire qualche morto vero alle prime pagine. Non troppo diversa, nello spirito, dalle ultime iniziative del Carotone. Lasciamo stare le figuracce al G7, dove pare se ne andasse in giro seguito da uno scodinzolante italiano, un certo Conte, a me del tutto sconosciuto. Parliamo della sua nuova guerra contro il Canada. Guerra commerciale, s‘intende. Fatta di dazi su acciaio e alluminio per assurdi motivi di “sicurezza nazionale”: come se il Canada stesse per attaccare gli USA. Dazi privi di senso anche perché il Canada è il solo paese, o quasi, con cui la bilancia commerciale statunitense sia in attivo. Dietro la decisione di Trump, levata la sua personale antipatia nei confronti del primo ministro Trudeau, così sfacciatamente giovane e in forma, ci sono solo necessità di sceneggiatura. Quelle di una politica ridotta a reality che ha bisogno di continui colpi di scena per mantenere una base, un’audience, la cui unità richiede sempre nuovi nemici. Anche i più improbabili. Detto questo, vi lascio. Magari mentre sorridete dei disinformati elettori del Mid West, pieni di pregiudizi contro i canadesi (quasi socialisti e per giunta mezzo francesi) senza averne mai incontrato uno. Ricordate solo che proprio loro, magari ritrovandosi senza lavoro a causa di quei dazi, finiranno per pagare il prezzo del narcisismo trumpiano. Ora continuate pure ad ululare alla Rete la vostra felicità per quei seicento che forse non sbarcheranno da noi. Poveri disperati. Loro su quella nave e voi, sempre menati per il naso, eterna carne da cannone, davanti alle tastiere.

sabato 9 giugno 2018

Populisti. Populisti.

Siete addirittura orgogliosi di essere chiamati così. Quando per capire poco basta niente. Pensate che sia populista chi fa gli interessi del popolo? Ma bravi. E chi decide chi è popolo e chi non lo è? Quelli come me, a cui fate orrore, non sono parte del popolo quanto vuoi? E quegli interessi, chi li stabilisce? E come? Non cercate di rispondere. Lo ha fatto per voi il nostro primo populista, il modello originale, Benito Mussolini, duce non per volontà della nazione, ma perché incarnazione della nazione. Perché imbevuto dello spirito di un popolo fatto a sua immagine e somiglianza. La cui opinione coincideva, per definizione, con la sua. Per questo le elezioni non servivano. Erano solo “ludi democratici” per spregevoli borghesi, amici della perfida Albione e dell’iniqua Marianna. L’Italia, la “grande proletaria”, si esprimeva nelle piazze. Era solo quella che riempiva quelle piazze. Ragionamenti dannatamente simili ai vostri. Anche voi pensate di essere tutto il paese; di essere il solo paese che conta. Sempre insofferenti di chi non la pensa come vuoi, subito bollato come elitario appartenente alla kasta, se non come traditore della Patria. Sempre smaniosi di fare un falò della democrazia liberale, con quei suoi tempi così lunghi e con tutte quelle ridondanti garanzie. Siete anche convinti che la maggioranza debba potere tutto e alla minoranza non resti che subire. Anzi, basta leggere certi commenti in rete, che debba sparire. Vi manca solo un capo/totem in cui riconoscervi, ma forse vi farete bastare Salvini. Per il resto sembrate pronti a indossare l’orbace o qualcosa che gli somiglia.

venerdì 8 giugno 2018

Non sarò mai un nazionalista.

Nossignore. Perché amo l’Italia. Davvero. Con tutto il cuore e tutta. Perché è il paese più bello del mondo? Semplicemente perché è il mio paese. Poi posso dire che ha una storia unica. Che è stato un faro di civiltà, quasi senza interruzioni, per due millenni abbondanti. In fondo non è troppo difficile se si è infilati nel cuore del Mediterraneo e del mondo antico? Vero, ma è andata così. Nessuna idealizzazione, però. La amo con tutte le sue contraddizioni. O per la sua infinita diversità, che è un altro modo di vedere la stessa cosa. Per le sue tante lingue; per le mille facce della sua gente. La amo perché non riducibile a una formula, a uno slogan. Perché è unita, ma non ha un’identità tribale. E’ tenuta assieme da radici profondissime, ma che a volte solo un occhio esperto sa riconoscere. Per spiegarla agli stranieri, la paragono all’India. L’Italia, dico loro, è un sub-continente in cui troverete di tutto. Proprio di tutto. Con questo non mi sogno di affermare che sia in qualche modo superiore ad altri paesi. La amo, appunto, e quel che si ama è fuori categoria. Le classifiche, invece, sono il pane dei nazionalisti. Dei malati di un morbo che, da quando ha cominciato a diffondersi, dai “Discorsi alla nazione tedesca” di Fichte in poi, c’è già costato due guerre mondiali e decine di milioni di morti. Nazionalisti orgogliosi del proprio paese come di un oggetto posseduto. Incapaci di definirsi se non confrontandosi/scontrandosi con altri nazionalisti. Infantili, nella migliore delle ipotesi. Ottusi, nella pretesa di ridurre la complessità alla monotona ripetizione di sé stessi. Guardate ai nazionalisti di casa nostra. Bianchi, etero, più o meno cattolici (ma il papa che c’è adesso, si sa, è un mezzo comunista) pretenderebbero di essere modello obbligatorio per il resto della nostra società; di essere gli unici “veri italiani”. Veri e, ovviamente, almeno a parole, pronti a scontrarsi con austriaci o finlandesi veri come loro; con altri nazionalisti altrettanto ottusi. Il tutto condito da truci rivendicazioni di primato e continui piagnistei vittimistici. Lamentele rivelatrici. Nuove versioni dell’eterno “all’estero non ci amano” che raccontano di pregiudizi e ignoranza. Di gente che all’estero ci è andata al massimo in vacanza. Pronta a ripetere che “i francesi hanno la puzza sotto il naso” o che “si sa come sono fatti gli inglesi” senza mai aver conosciuto un francese o un inglese. Un’ignoranza che almeno in parte li assolve. Non sono dei mostri, ma la carne da cannone manovrata da quei farabutti di cui scriveva Samuel Johnson. Dai furbastri, se non altro. Da capipopolo che si ammantano ora nel tricolore con cui fino a ieri si pulivano il didietro. Da tribuni della plebe che in realtà amano talmente poco l’Italia da non rispettarne la lingua nazionale. Un italiano che non arrivano a parlare neppure decentemente. Di cui abusano nel ripetere le loro continue cavolate.

lunedì 4 giugno 2018

Stai zitto,

mi ingiunge una feroce leghista. Stai zitto e rispetta un governo finalmente nato dalla volontà popolare. Lei commenta così una delle mie pillole. Io penso a tanti miei amici grillini e mi cadono le braccia. Amici che ora tacciono. Alcuni, pochissimi, stanno ripensando il proprio rapporto con il Mo’ vi mento (ma quanto vi mento). La maggioranza, si arrampica sui vetri. Cerca scuse, ma non riesce a nascondere il proprio imbarazzo. Hanno votato Cinque Stelle partendo da sinistra. Spesso convinti di votare per la “vera sinistra”. Scoprono di aver contribuito a far nascere il governo più di destra della storia repubblicana. Un governo leghista e nero che è stato creato a tavolino. Frutto di lunghe e laboriose trattative. Nato nel palazzo, come quelli che l’hanno preceduto. Un governo che non ha nulla a che vedere con le scelte dei cittadini. Questo se non si vuole procedere all’ennesima riscrittura della storia. Se non si vuole continuare a violentare la memoria. Lega e M5S si sono presentati alle elezioni da avversari, non da alleati. Di Maio, il pessimo Di Maio, starnazzava “mai con la Lega”. Tanti italiani, se per caso, hanno votato in base a queste premesse e promesse. E di certo senza sapere, o neppure immaginare, che il loro futuro presidente del Consiglio sarebbe stato Conte, lo sconosciutissimo Conte. Altro che stare zitti, mentre la macchina della disinformazione leghista non smette di funzionare. Mentre Salvini è diventato padrone del paese pur essendo stato votato da meno del 13% degli aventi diritto. Grazie alla propria furbizia, non certo al volere degli elettori. Grazie a milioni di voti grillini che sono stati dirottati, trasbordati da sinistra all’estrema destra, in un’operazione che, conoscendo le simpatie del Megafono, sospetto sia stata premeditata. Senza il minimo rispetto di una volontà popolare che leghisti e grillini dovrebbero avere il pudore di non tirare in ballo. Non ora. Non dopo averla sequestrata.

venerdì 1 giugno 2018

Inno per la Festa della Repubblica

Cantato da coro o voce solista 
nel silenzio di una notte italiana

Giovanni Megna, Vito Allotta, Vincenzo La Fata, Giovanni Grifò, Lorenzo di Maggio, Francesco Vicari, Castrenza Intravaia, Giorgio Cusenza, Margherita Clesceri, Serafino Lasciari, Filippo di Salvo, Eriberto Volgger, Martino Cossu, Franco Petrucci, Armando Piva, Francesco Gentile, Mario Di Lecce, Olivio Dordi, Giovanni Arnoldi, Carlo Perego, Giulio China , Giovanni Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Glatioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Luigi Meloni, Vittorio Mocchi, Gerolamo Papetti, Mario Pasi, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia, Carlo Silva, Attilio Valè, Rita Camicia, Rosa Fazzari, Adriana Vassallo, Letizia Palumbo, Nicoletta Mazzocchio, Andrea Gamgemi, Antonio Ferraro, Franco Dongiovanni, Donato Poveromo, Gabriella Bortolon, Giuseppe Panzino, Federico Masarin, Saida Bertolazzi, Giulietta Banzi Bazoli, Livia Bottardi Milani, Clementina Calzari Trebeschi, Alberto Trebeschi, Eupio Natali, Luigi Pinto, Bartolomeo Talenti, Vittorio Zambarda, Nicola Buffi, Maria Santina Carraro in Russo, Marco Russo, Nunzio Russo, Elena Celli, Elena Donatini, Tsugufumi Fukuda, Raffaella Garosi, Herbert Kontriner, Antidio Medaglia, Wilhelmus Jacobus Hanema, Silver Sirotti, Cinzia Andres, Luigi Andres, Francesco Baiamonte, Paola Bonati, Alberto Bonfietti, Alberto Bosco, Maria Vincenza Calderone ,Giuseppe Cammarota, Arnaldo Campanini, Antonio Candia, Antonella Cappellini, Giovanni Cerami, Maria Grazia Croce, Francesca D’Alfonso, Salvatore D’Alfonso, Sebastiano D’Alfonso, Michele Davì, Giuseppe Calogero De Ciccio, Rosa De Dominicis, Elvira De Lisi, Francesco Di Natale, Antonella Diodato, Giuseppe Diodato, Vincenzo Diodato, Giacomo Filippi, Enzo Fontana ,Vito Fontana, Carmela Fullone, Rosario Fullone, Vito Gallo, Domenico Gatti, Guelfo Gherardi, Antonino Greco, Berta Gruber, Andrea Guarano, Vincenzo Guardi, Giacomo Guerino, Graziella Guerra, Rita Guzzo, Giuseppe Lachina, Gaetano La Rocca, Paolo Licata, Maria Rosaria Liotta, Francesca Lupo, Giovanna Lupo, Giuseppe Manitta, Claudio Marchese, Daniela Marfisi, Tiziana Marfisi, Erica Mazzel, Rita Mazzel, Maria Assunta Mignani, Annino Molteni, Paolo Morici, Guglielmo Norritto, Lorenzo Ongari, Paola Papi, Alessandra Parisi, Carlo Parrinello, Francesca Parrinello, Anna Paola Pellicciani, Antonella Pinocchio, Giovanni Pinocchio, Gaetano Prestileo, Andrea Reina, Giulia Reina, Costanzo Ronchini, Marianna Siracusa, Maria Elena Speciale, Giuliana Superchi, Antonio Torres, Giulia Maria Concetta Tripliciano, Pierpaolo Ugolini, Daniela Valentini, Giuseppe Valenza, Massimo Venturi, Marco Volanti, Maria Volpe, Alessandro Zanetti, Emanuele Zanetti, Nicola Zanetti, Antonella Ceci, Angela Marino, Leo Luca Marino, Domenica Marino, Errica Frigerio in Diomede Fresa, Vito Diomede Fresa, Cesare Francesco Diomede Fresa, Anna Maria Bosio in Mauri, Carlo Mauri, Luca Mauri, Eckhardt Mader, Margret Rohrs in Mader, Khai Mader, Sonia Burri, Patrizia Messineo, Silvana Serravalli in Barbera, Manuela Gallon, Natalia Agostini in Gallon, Maria Antonella Trolese, Anna Maria Salvagnini in Trolese, Roberto De Marchi, Elisabetta Manea Ved. De Marchi, Eleonora Geraci in Vaccaro, Vittorio Vaccaro, Velia Carli in Lauro, Salvatore lauro, Paolo Zecchi, Viviana Bugamelli in Zecchi, Catherine Helen Mitchell, John Andrew Kolpinski, Angela Fresu, Maria Fresu, Loredana Molina in Sacrati, Angela Tarsi, Katia Bertasi, Mirella Fornasari, Euridia Bergianti, Nilla Natali, Franca Dall’Olio, Rita Verde, Flavia Casadei, Giuseppe Patruno, Rossella Marceddu, Davide Caprioli, Vito Ales, Iwao Sekiguchi, Brigitte Drouhard, Roberto Procelli, Mauro Alganon, Verdiana Bivona, Francesco Gomez Martinez, Mauro Di Vittorio, Sergio Secci, Roberto Gaiola, Angelo Priore, Onofrio Zappalà, Pio Carmine Remollino, Gaetano Roda, Mirco Castellaro, Nazzareo Basso, Vincenzo Petteni, Salvatore Seminara, Carla Gozzi, Umberto Lugli, Fausto Venturi, Argeo Bonora, Francesco Betti, Mario Sica, Pier Francesco Laurenti, Paolino Bianchi, Vincenzina Sala in Zanetti, Berta Ebner, Vincenzo Lanconelli, Lina Ferretti in Mannocci, Romeo Ruozi, Amorveno Marzagalli, Antonio Francesco Lascala, Rosina Barbaro in Montani, Irene Breton in Boudoban, Pietro Galassi, Lidia Olla in Cardillo, Maria Idria Avati, Antonio Montanari, Giovanbattista Altobelli, Anna Maria Brandi, Angela Calvanese in De Simone, Anna De Simone, Giovanni De Simone, Nicola De Simone, Susanna Cavalli, Lucia Cerrato, Pier Francesco Leoni, Luisella Matarazzo, Carmine Moccia, Valeria Moratello, Maria Luigia Morini , Federica Tagliatatela, Abramo Vastarella, Gioacchino Taglialatela, Giovanni Calabrò, Dario Capolicchio, Angela Fiume in Nencioni, Caterina Nencioni, Fabrizio Nencioni, Nadia Nencioni, Alessandro Ferrari, Carlo Locatena, Driss Moussafir, Sergio Pasotto, Stefano Picerno,
Di chi sono tutti quei nomi?
Delle vittime delle "nostre" stragi, da quella di Portella delle Ginestre, il primo maggio 1947, a quella di via Palestro, a Milano, la notte 27 luglio 1993. Nomi che idealmente si uniscono a quelli dei martiri della violenze nazi-fasciste; a quelli delle altre vittime del peggio del nostro passato. Nomi che si uniscono idealmente a quelli dei martiri della Resistenza e che ricordo ai miei amici ogni Due Giugno. Lo faccio anche quest’anno, mentre auguro loro una buona Festa della Repubblica. Celbrazione di una democrazia che abbiamo pagato con il sangue, prima e dopo il 1946. Festa che quest’anno, inutile nasconderlo, ha anche una sapore amaro. Mentre è responsabile degli Interni chi fino a ieri diceva di volersi pulire il didietro con il tricolore repubblicano. Mentre è diventato ministro (della Famiglia) un aperto ammiratore di Orban e di tutti i ducetti del peri-fascismo. In un momento della nostra storia che unisce il ridicolo al tragico. All’inizio di una notte che, comunque, passerà. A noi il compito di tenere una fiammella accesa fino ad allora. Con intatta fede. Uniti come i nostri padri e nonni. Come loro riuscirono ad esserlo, quando davvero serviva.