venerdì 8 giugno 2018

Non sarò mai un nazionalista.

Nossignore. Perché amo l’Italia. Davvero. Con tutto il cuore e tutta. Perché è il paese più bello del mondo? Semplicemente perché è il mio paese. Poi posso dire che ha una storia unica. Che è stato un faro di civiltà, quasi senza interruzioni, per due millenni abbondanti. In fondo non è troppo difficile se si è infilati nel cuore del Mediterraneo e del mondo antico? Vero, ma è andata così. Nessuna idealizzazione, però. La amo con tutte le sue contraddizioni. O per la sua infinita diversità, che è un altro modo di vedere la stessa cosa. Per le sue tante lingue; per le mille facce della sua gente. La amo perché non riducibile a una formula, a uno slogan. Perché è unita, ma non ha un’identità tribale. E’ tenuta assieme da radici profondissime, ma che a volte solo un occhio esperto sa riconoscere. Per spiegarla agli stranieri, la paragono all’India. L’Italia, dico loro, è un sub-continente in cui troverete di tutto. Proprio di tutto. Con questo non mi sogno di affermare che sia in qualche modo superiore ad altri paesi. La amo, appunto, e quel che si ama è fuori categoria. Le classifiche, invece, sono il pane dei nazionalisti. Dei malati di un morbo che, da quando ha cominciato a diffondersi, dai “Discorsi alla nazione tedesca” di Fichte in poi, c’è già costato due guerre mondiali e decine di milioni di morti. Nazionalisti orgogliosi del proprio paese come di un oggetto posseduto. Incapaci di definirsi se non confrontandosi/scontrandosi con altri nazionalisti. Infantili, nella migliore delle ipotesi. Ottusi, nella pretesa di ridurre la complessità alla monotona ripetizione di sé stessi. Guardate ai nazionalisti di casa nostra. Bianchi, etero, più o meno cattolici (ma il papa che c’è adesso, si sa, è un mezzo comunista) pretenderebbero di essere modello obbligatorio per il resto della nostra società; di essere gli unici “veri italiani”. Veri e, ovviamente, almeno a parole, pronti a scontrarsi con austriaci o finlandesi veri come loro; con altri nazionalisti altrettanto ottusi. Il tutto condito da truci rivendicazioni di primato e continui piagnistei vittimistici. Lamentele rivelatrici. Nuove versioni dell’eterno “all’estero non ci amano” che raccontano di pregiudizi e ignoranza. Di gente che all’estero ci è andata al massimo in vacanza. Pronta a ripetere che “i francesi hanno la puzza sotto il naso” o che “si sa come sono fatti gli inglesi” senza mai aver conosciuto un francese o un inglese. Un’ignoranza che almeno in parte li assolve. Non sono dei mostri, ma la carne da cannone manovrata da quei farabutti di cui scriveva Samuel Johnson. Dai furbastri, se non altro. Da capipopolo che si ammantano ora nel tricolore con cui fino a ieri si pulivano il didietro. Da tribuni della plebe che in realtà amano talmente poco l’Italia da non rispettarne la lingua nazionale. Un italiano che non arrivano a parlare neppure decentemente. Di cui abusano nel ripetere le loro continue cavolate.

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