venerdì 29 dicembre 2017

Sicurezza! Sicurezza!

Sicurezza di essere ingannati, più che altro, se si bada agli spacciatori di paura. Per rendersene conto, basta dare un’occhiata all’Annuario Istat 2017. E’ appena uscito e riporta i dati completi del 2016. Cifre che confermano come i reati siano in continua diminuzione. L’anno scorso, in particolare, sono stati il 4,5 % in meno che nel 2015. Sono calati i furti (del 7 %) e le rapine (del 10,6%). Sono diminuiti gli stupri (del 6 %) e le lesioni (del 3,2%). Tra i pochi reati in aumento (con le estorsioni) ci sono le truffe e frodi informatiche. D’altra parte uno dei miei poeti popolari preferiti canta che “il diavolo si veste come quelli delle assicurazioni”. Un discorso particolare va fatto per gli omicidi. Sono diminuiti anche loro (dell’1,3%) e sono stati 396; un quinto di quelli di vent’anni fa e, rispetto alla popolazione, meno di un decimo di quelli che accadevano nell’Italia dei nostri nonni. Detto altrimenti, siamo diventati uno dei paesi più sicuri d’Europa. Gli inglesi, che non si sognano neppure di parlare d’emergenza sicurezza, corrono molti più pericoli di noi. Anche la Finlandia, per tutti un paradiso d’ordine o quasi, è statisticamente più pericolosa dell’Italia. Statistiche che, però, non interessano alla nostra peggior politica. Né queste, né, tanto meno, quelle che dimostrano come non vi sia la minima correlazione tra criminalità e immigrazione. Stiamo parlando di forze che non hanno il minimo progetto strategico; i cui esponenti, sui temi come l’economia, infilano una castroneria dopo l’altra. (Avete presente quelli che chiedono dazi doganali mentre la nostra bilancia commerciale macina record?) Gli americani (a proposito: nella sola Chicago, nel 2016 ci sono stati poco meno di 800 omicidi: il doppio che in tutt’Italia) parlano di one trick pony, di cavallo che conosce un solo trucco, per dire di chi non sa che ripetere sempre le stesse cose. I capipopolo della nostra pseudo destra sono asini che sanno ragliare solo di sicurezza e immigrazione. (Peraltro sempre senza il minimo progetto realizzabile). Ragli la cui altezza non ha nulla a che vedere con la realtà. Destinati a un elettorato già spaventato da un sistema informativo pronto pur di vendere una copia in più, a inventarsi continue emergenze; a strillare un titolo in prima pagina a ogni delitto, con l’immancabile indicazione della nazionalità del sospettato, se si tratta di uno straniero. Pessimo giornalismo e pessima politica, d’altra parte, vanno a braccetto: fanno mercato della stessa paura. E a braccetto, un raglio dopo un titolone, finiscono per scippare il voto di tanti.
P.S. Ci sarà sicuramente chi torcerà il naso, davanti ai dati dell’Istat, e parlerà del suo appartamento svaligiato, del conoscente pestato o del conoscente di conoscenti rapinato. Se ha la mia età, lo invito a tornare ai nostri bei vent'anni. Lasci pure perdere terrorismo e mafia. Cerchi di ricordare le rapine in banca, i rapimenti, i furti d’auto, gli scippi in motorino .... Siamo cresciuti, altro che storie, in un paese molto più violento di quello di oggi. Tutti in giro con l’autoradio sotto il braccio (e nonostante questo ci si ritrovava con i finestrini sfasciati) e con interi pezzi di città in cui non potevamo andare perché, di fatto, vietati ai “civili”.

giovedì 28 dicembre 2017

Non inchinatevi davanti al Sacro Testo. Piuttosto, rileggetelo.

Sì, sto parlando della nostra Costituzione che, senza troppi festeggiamenti, compie settant’anni. Un’età che, scoprirete già dopo poche righe, proprio non dimostra. Certo non dal punto di vista linguistico: è scritta in un italiano limpido, cristallino, perfettamente comprensibile anche a chi, come me, non ha la minima cultura giuridica. Nel paese del burocratichese, dove ancora oggi non si timbra il biglietto ma si “oblitera il titolo di viaggio”, non sembra provenire dal passato ma dal futuro. Una considerazione che dice tutto degli uomini che la scrissero; della loro levatura morale e intellettuale come delle loro intenzioni. Molti di loro erano reduci dall’esilio, dai campi di prigionia o dalla guerra partigiana. Tutti avevano dovuto attraversare le tenebre del regime e tutti (anche Togliatti e i suoi, altro che) erano mossi dall’amor di Patria. Dopo la fumosa retorica del fascismo, volevano che la Repubblica nascesse nella chiarezza. Con il paese distrutto, non solo materialmente, volevano che il documento della nostra rifondazione durasse nei secoli. Con questo non voglio dire che sia “la più bella Costituzione del mondo.” E’ un’altra di quelle affermazioni bigotte che è meglio evitare. In alcuni punti specifici, poi, può forse essere migliorata (certo intervenendo con mille cautele). Difficile immaginare, però, un più armonico disegno di comunità nazionale; di un’Italia davvero civile, che riconosce e fa propri i più alti e nobili valori. Un’Italia ideale, che non è né quella di ieri né quella di oggi. La Costituzione è anche sogno e speranza: immagina l’Italia come potrebbe essere se ci educassimo alla libertà e alla responsabilità; se smettessimo di ragionare da sudditi e cominciassimo a comportarci da cittadini. Piero Calamandrei ripeteva che la Costituzione non andava considerata come una legge morta ma “come un programma politico”. Un progetto lanciato, un’ idea viva dell’Italia che dice anche chi sono gli italiani: tutti quelli che vogliono sacrificarsi per partecipare a questo progetto di comunità e si riconoscono in quest’idea di civiltà. Tutti: non importa il colore della loro pelle, la loro origine o la loro religione. Quanto a chi ha bisogno di tirare in ballo il sangue e la razza per definirsi, di fatto nega la Costituzione e i suoi valori. Può andarsene in giro avvolto nel tricolore (lo stesso con cui pochi anni fa minacciava di pulirsi il didietro) ma abusa del titolo di cittadino della Repubblica.

mercoledì 27 dicembre 2017

E’ un’invasione. Sono milioni. Decine di milioni.

E’ un intero continente che vuole venire da noi. Lo dicono i tiggì. E gli speciali dei tiggì. E le rubriche di approfondimento (ma de che?) dei vari tiggì. Tutto il giorno. Su tutti i canali. Per tutta l’estate. In collegamento l’inviata/o speciale. Abbigliamento da Desert Storm/ Iraqi Freedom. Toni drammatici. Come se non fossero quelli sui barconi ma lei/ lui a rischiare la vita. O i telespettatori preoccupati, anzi spaventati, anzi terrorizzati, sui loro divani in vera o finta pelle, comprati a rate o lascito della nonna. Il numero degli sbarcati del giorno letto come neanche Cronkite quello dei morti in Vietnam. E gli ospiti in studio. I politici difensori della Patria, dell’Occidente e della Cristianità (altro che quel komunista & terzomondista del Papa). I geostrateghi. Gli esperti di questo e quello. Gli ammiragli in pensione e i profondi conoscitori della realtà di vai a sapere dove. Ognuno con le sue idee. In fondo tutti d’accordo. Dicono “bisogna aiutarli a casa loro”, ma senza crederci. Bisogna fermarli con le cattive, lasciano capire. Anche con le cattivissime. Loro e le maledette Ong che non li lasciano affogare. Perché è inutile parlare di diritti dell’uomo o, più semplicemente di giustizia. Anzi, è da orridi buonisti. La realtà è che non abbiamo spazio per tutta l’Africa. 
Qualche giorno fa il ministero degli Interni ha comunicato il numero dei migranti arrivati via mare nel 2017. Sono stati circa 119.000. Il 33% IN MENO dei 180.000 arrivati nel 2016. Il dato è stato debitamente riportato da giornali e televisioni. Senza la minima enfasi, però, senza speciali o altro.
La dimostrazione di come il pessimo giornalismo nostrano possa fare disinformazione anche senza inventare nulla. Semplicemente gonfiando certe notizie e nascondendone altre. Secondo un preciso disegno o solo per conquistare un lettore o uno spettatore in più. Certo venendo meno al proprio ruolo. Non che sia una novità. Se la nostra democrazia è in queste condizioni è anche perché i suoi cani da guardia hanno quasi sempre abbaiato a comando.

P.S Il numero dei migranti sbarcati lo avete letto. Non è un segreto che la maggior parte di loro se ne andrà altrove. Si unirà ai 124.000 italiani che sono emigrati l’anno scorso. D’altra parte, i nostri connazionali residenti all'estero sono ormai cinque milioni: esattamente quanti gli stranieri che vivono da noi. Basterebbe fermare gli sbarchi e i nostri giovani troverebbero lavoro in Italia? Ma non diciamo fesserie. Con una laurea in tasca non aspirano a lavorare in fonderia o a raccogliere pomodori. Piuttosto, ficchiamoci in testa che l’emigrazione (ormai sui livelli del dopoguerra) è un nostro problema almeno quanto l’immigrazione. Anzi, visto che importiamo operai e esportiamo ingegneri, molto di più

martedì 26 dicembre 2017

Supponenza, ignoranza e, soprattutto, codardia


stanno dietro la mancata approvazione della legge sullo ius soli (e alle tragedie degli ultimi cento anni della nostra storia). Il razzismo? Ormai c’è, eccome, ma in fondo è solo un altro prodotto di quell'ignoranza. Secondo una statistica Ocse di un mese fa, siamo il paese del mondo sviluppato con la più alta percentuale di analfabeti funzionali. Il 47% di noi non è in grado di capire un normale articolo di giornale. Un dato che spiega, tra l’altro, l’opposizione di tanti alla legge in questione. Eroici cittadini disposti a manifestare in difesa della Patria invasa dalle partorienti, ma, basta sentire i loro commenti, senza sapere nulla delle norme che tanto esecrano. Fratelli d’Italia pronti alla morte, insomma, ma non a leggere una proposta di legge. Proposta che, però, nessuno ha spiegato loro. Non con la semplicità che sarebbe stata necessaria. In questo ha, appunto, giocato la supponenza. Le legge sullo ius soli, così come sarebbe dovuto essere approvata, è un atto di civiltà minimo. E’ a un tempo giusta e necessaria. Necessità e giustizia che temo si sia pensato fossero auto-evidenti. Non lo erano e non lo sono, in un paese dove domina la disinformazione. Dove cittadini poco propensi a verificare le fonti (bell’eufemismo) sono pronti a credere alle peggiori bufale. Cittadini che non brillano per cultura e preparazione, ma che non vanno trattati dall’alto in basso. Che vanno rispettati e, nel rispetto, convinti. E’ una sfida, sul fronte della comunicazione, che deve saper affrontare chiunque voglia cambiare lo stato delle cose. Buone e belle le sue idee ma inutili, se di questa bontà e bellezza gli elettori non sapranno nulla. Una sfida che le forze progressiste hanno finora perso. Non ha la minima intenzione di affrontarla, invece, il “nuovo” che avanza. Nuovo che sa d’antico qualunquismo. 
Intendiamoci, il PD poteva fare di meglio. E molto. I ventinove senatori piddini assenti, poi, non vanno scusati. Sono personalmente responsabili del proprio comportamento e i loro nomi andrebbero comunicati agli elettori, perché ne traggano le dovute conseguenze. L’assenza, in blocco, di tutti i senatori del M5S ha tutt’altro carattere. E’ una precisa scelta politica. Anzi la solita non scelta di un mo’ vi mento costituzionalmente, ontologicamente, incapace di assumere una qualunque posizione rischi di fargli perdere anche un solo voto. Immagino che gli apologeti del grillismo saranno prontissimi a ripetere le patetiche dichiarazioni rilasciate dai senatori del M5S. Evitino. Una volta di più il mo’vi mento si è schierato con il peggio della destra. Un po’ per opportunismo (ma neanche Andreotti …) e molto, a quella si torna, per codardia.

venerdì 22 dicembre 2017

Il Padrino all'Onu e un remake di Sciuscià


Come favorire la pace in Medio Oriente? 
Spostando l’ambasciata americana in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme, a quel punto riconosciuta come capitale. L’ha pensato l’attuale inquilino della villotta neoclassica nota come la Casa Bianca. Una grande idea secondo il suo amicuzzo Benjamin N. che d’Israele fa il primo ministro. Una ciclopica minchiata (scusate, ma è il termine che si usa nelle cancellerie) per chiunque altro. Come buttare benzina sul fuoco. Come sfregare sale su una ferita. Come portare uno zampone senza lenticchie a un raduno di vegani. E anche peggio. Parole di critica (anche se magari non proprio queste) che oggi sono diventate voti all’Assemblea Generale dell’ONU. Turchi e yemeniti hanno presentato una mozione di condanna dell’amministrazione americana. L’hanno approvata in 128, tra cui l’Italia. (Miracolo!) Gli astenuti sono stati 35. I contrari, e quindi pronti ad applaudire The Donald, sono stati sette oltre a Israele: Guatemala, Honduras, Isole Marshall, Micronesia, Nauru, Palau e Togo. Non proprio sette potenze? Diciamola tutta: per la diplomazia americana è stata una figura di palta. Diplomazia che, però, non aveva ancora dato il peggio di sé. Prima del voto, con grande finezza aveva minacciato gli stati che si fossero opposti ai desideri donaldeschi. Dopo la sconfitta, rifacendosi al precedente storico di Don Vito Corleone, l’ambasciatrice Haley ha parlato di “paesi che ci hanno mancato di rispetto” e, torva, ha di nuovo ribadito: “Ci ricorderemo questo voto ...”.
Quando si dice trattare gli alleati di sempre come fossero commercianti cui si chiede il pizzo. Paragone che calza anche considerata l’altra notizia che arriva dagli U.S. of A. 
Il parlamento di Washington ha approvato la riforma fiscale voluta dai repubblicani (e dagli zilioniari che li finanziano) e sponsorizzata da Trump. La conoscete. Sembra opera di Superciuck. In nome di una supposta crescita economica, taglia le tasse a ricchi e multinazionali, finge di dare qualcosa al resto degli americani e, secondo la maggior parte degli economisti, nei prossimi anni produrrà una voragine di millecinquecento miliardi di dollari. Saranno emessi dei titoli di stato per coprirla, ma qualcuno dovrà comunque tirar fuori i soldi. Chi? I cinesi? Certo contribuiranno, ma non sono esattamente dei fessi. Poi? Non guardate in America. Gli americani non risparmiano. E neppure le loro aziende. Guardate molto più vicino a voi. Sentite uno strano formicolio al portafoglio? Ecco: ci siete. E già, sono proprio i capitali europei a fare gola. Capitali che andrebbero Oltreatlantico molto più facilmente, se solo l’Euro sparisse.
Il finale è mio, consideratelo pure fantaeconomia. Il resto è cronaca dell’ultimo paio di giorni. Tra minacce pseudomafiose e spericolate operazioni di bilancio, le scelta che abbiamo, comunque, resta chiara. Possiamo tenerci stretta l’UE e l’Euro, ed essere comproprietari del nostro destino, o fare le comparse di un film diretto da altri: purtroppo, un remake hollywoodiano di Sciuscià.

giovedì 21 dicembre 2017

“Ricordati che bastano due arance per fare Natale.”

Quanti anni avrò avuto? Sette o otto? E chissà perché me lo hai detto, mentre ti mostravo il trenino che mi aveva portato Gesù Bambino? Forse volevi prepararmi a tempi meno felici che, da montanaro, sapevi sarebbero arrivati. Eri un profeta, Nonno. Ti ricordo così, uscito dritto dall'Antico Testamento: altissimo e con una voce di tuono che faceva tremare i larici. Ora posso dirti che avevi ragione. E torto. La povertà dei tuoi racconti era quella della guerra e della ricostruzione. Dignitosa e condivisa. Di tutti. E che tutti potevate sperare finisse. Siete stati forti nelle avversità, ma credevate fossero solo contrattempi sulla strada del progresso. Lavoravate, vi sacrificavate, ma il paese migliorava ed eravate certi che il Natale seguente quelle arance sarebbero state almeno tre. Oggi, mentre ancora si affetta opulenza, essere poveri è una colpa. Una vergogna. C'è chi perso il lavoro non esce più di casa. C'è chi passa per le vie del centro solo se non può farne a meno; a testa bassa. I pugni chiusi ficcati un un cappotto che è stato nuovo vent'anni fa, cerca di non vedere. Le vetrine piene di quel che non può comprare. La gente che non vuole invidiare. Chiamalo pudore, se vuoi. E tra il poco che ci resta, assieme alla voglia di salvare le apparenze. C'è solo quella dietro i sorrisi di tanti cui tutto sembra andare bene. Si trascinano dietro borse piene di acquisti. Hanno sulle spalle uno zaino carico di paura. Del fallimento della ditta. Del licenziamento. Per se stessi. Per i figli. Ognuno la sua. Paura. La vostra aveva l'elmetto dei tedeschi e le mostrine con la testa di morto della Muti. Quella di oggi non ha nome. Non ha neppure una vera ragione. Le nostre aziende esportano come non mai. Anche i cinesi vogliono le nostre cose. E tutti vorrebbero venire in vacanza da noi. Non importa. Nell'aria si respira la ferocia di chi pensa di non poter avere più di quel che ha e sente di doverlo difendere, contro tutto e tutti. Sì, nelle nostre strade, paura e ferocia vanno a braccetto; hanno generato la nostra peggior politica e la nostra peggior politica le sfrutta e le diffonde. Sai, invece, cosa non si vede in giro? Qualcuno mi ha detto che con Mani Pulite abbiamo perso la nostra verginità democratica. Qualcun altro, che ci ha dato il colpo di grazia la grande disillusione che è venuta dopo. Quello che è evidente è che non ci fidiamo più di nessuno. Non degli stranieri, non degli italiani, non dell'Europa, non delle istituzioni e, in fondo, neppure di noi stessi. In una parola, Nonno, ci manca la fiducia. Ne trovassimo un po', magari nel ricordo di come avete superato l'inverno del 44 su in montagna, non avremmo bisogno neppure delle due arance per fare Natale. Ci faremmo bastare un mandarino.

mercoledì 20 dicembre 2017

Il sergente maggiore Rigoni Stern, caro Sebastian, era uno vero.

Croce di Guerra al Merito e Medaglia d’Argento al Valor Militare. “Fulgido esempio di ardimento, capacità e di sprezzo del pericolo, ” dice la motivazione. Poi, dopo, è diventato scrittore, un grande scrittore, ma prima è stato un eroe. I suoi alpini lo ricordavano capace di fermare da solo, con la sua Breda, una compagnia di russi all’assalto. Robe che quelli come te hanno visto solo al cinema. Come te e tutti gli altri nazionalisti da operetta che stanno appestando l’Occidente. Lui, invece, la guerra l’aveva provata sulla pelle; si era visto morire attorno tanti compagni. Morti che si portava dentro; che erano il peso del suo zaino. In fondo, il suo libro più importante lo aveva scritto per loro. Morti che gli facevano compagnia, quando passeggiava nei suoi boschi. La cui memoria ha onorato fino all’ultimo dei suoi giorni. Anche in un discorso che ha tenuto a una platea di giovani nel 2007, quando gli restava un solo inverno da vivere. “Voi siete l’Europa, ragazzi,” ha detto loro: “Oggi non potere neppure immaginare una guerra contro l’Austria o la Francia, perché voi siete l’Europa.” Non solo. “In guerra e in pace ho viaggiato ovunque nel nostro continente, e siamo tutti uguali,” ha poi spiegato: “Parliamo lingue solo un pochino diverse, ma tra noi non ci sono vere differenze.” 
Capito, come ragiona un vero patriota? Altro che etno-nazionalismo. 
Tu, piuttosto, ci credi davvero a certe cavolate?
Guarda che nell’impero di Franz Josef, dove si parlava una dozzina di lingue, quelli come te non erano visti di buon occhio. Il nazionalismo su base etnica, è da prussiani, non da austriaci. Hai presente Fichte, i “ Discorsi alla nazione tedesca” ...? No? Qualcuno ti avrà almeno spiegato cosa è successo il 12 marzo del 1938? Neanche? Diciamo che Adolf Hitler, in base a considerazioni etnico-linguistiche, ha deciso di offrire il passaporto tedesco agli austriaci. E l’ha portato loro con i carri armati. Vedi: i confini meglio lasciarli stare, in attesa di levarceli tutti per davvero dalle scatole. E i nazionalismi, anche: ci sono già costati decine di milioni di morti. Intanto, ho visto che hai corretto il tiro. Bravo: siamo in un’epoca di cazzari e, anche per un cancelliere austriaco, non c’è niente di male nell’ammettere di essere uno di loro. Con noi italiani, poi, nessun problema: siamo già abituati ai nostri e sono una legione.

P.S. Per chi volesse vedere il sergente maggiore Rigoni con gli occhi di un suo commilitone, il libro da leggere è "I lunghi fucili", di Cristoforo Moscioni Negri. Vedo che è stato recentemente ristampato da Il Mulino.

martedì 19 dicembre 2017

Il sindaco Scrooge.

Una storia di questo Natale. Non commuoverà nessuno, ma per tanti versi è esemplare. Accade a Como. Il sindaco si chiama Mario Landriscina. Faceva il medico; ora è a capo di una giunta di destra centro-estrema: Lega -. Forza Italia - Fratelli d’Italia - eventuali e vari. Insomma: sempre i soliti, perlomeno da quelle parti. Lui, il sindaco, ha già avuto il suo quarto d’ora di notorietà nazionale. Ricordate il raid naziskin proprio a Como di un paio di settimane fa? Ricordate la successiva manifestazione antifascista? Be’, in polemica con gli orridi ministri komunisti & bolscevichi (e dando prova di non capire nulla del proprio ruolo istituzionale), lui, a quella manifestazione si è rifiutato d’intervenire. Bella dimostrazione di coraggio. Qualcuno prepari il cerchio di fuoco e il muro di baionette. Anzi, non ce n’è bisogno. Il sindaco è già tornato a dimostrare sprezzo del ridicolo con un’ordinanza che proibisce di mendicare nel centro città sia “in forma dinamica” che in “forma statica”. Provvedimento fatto rispettare da una ventina di vigili urbani (e questi chi li paga?) sguinzagliati alla caccia di questuanti, ambulanti irregolari e artisti di strada. Risultato dell’operazione? Cinque multe di cento Euro comminate a cinque mendicanti cinque. Sequestrata anche la merce di alcuni ambulanti e i cappelli (vi dicevo dello sprezzo del ridicolo ...) usati per chiedere l’elemosina. Tutto questo “per il decoro del centro urbano.” Sissignore. I neonazisti di cui sopra? Una simpatica nota di colore. La ‘ndrangheta che si sta mangiando la provincia? Be’, quella non si vede. Per “decoro” delle vie dello shopping bisogna nascondere i poveri, quasi fossero polvere d’umanità da scopare sotto il tappeto. Poveri che devono pure lasciare il portico dell’ex chiesa di San Francesco. Anche i volontari che andavano a portare loro la colazione (qualcosa di caldo dopo una notte al gelo; un gesto di umanità minima) si sono visti bloccati dai vigili in conformità a quell’ordinanza. Quando un’opera di carità corporale, se ricordo qualcosa del catechismo, diventa un reato. Un segno dei tempi. Di una ferocia che dilaga anche nei commenti in Rete; negli applausi al sindaco per la sua opera “di pulizia”. La conseguenza del venir meno di qualunque sembianza di giustizia sociale. Perché questo ha fatto aumentare il numero dei mendicanti? No, o non solo. Soprattutto perché ora è più doloroso vederseli davanti. Provocano sensi di colpa, nei pochi che non hanno problemi. Fanno paura ai tanti che stanno a malapena a galla e temono, alla prossima tempesta, di affondare. A troppi che preferiscono non vedere quello che sospettano possa essere il loro futuro o il futuro dei loro figli. Una reazione non diversa, in fondo, dal fastidio che tanti provano alla vista dei rifugiati. Un riflesso naturale, comprensibile, sicuramente umano e altrettanto certamente sbagliato. Purtroppo è anche quello su cui contano gli Scrooge senza pentimenti (la realtà non è un racconto di Natale) di questo mondo. Una cecità che diffondono e promuovono per continuare indisturbati a farsi gli affari propri. O almeno a far carriera.

lunedì 18 dicembre 2017

Non possiamo più permettercelo.


Ogni volta che si parla d’immigrati, qualcuno finisce per dirlo. Si cerca di spiegare. Di usare le cifre e fare appello alla ragione. Nel 2016, l’accoglienza ai rifugiati c’è costata 3,3 miliardi di Euro. Una “tassa” in buona misura volontaria, perché la maggior parte di quei soldi finisce nei centri in cui siamo noi ad aver deciso di confinare i richiedenti asilo. Non solo. Una cifra ampiamente compensata dagli altri immigrati; da quelli cui abbiamo permesso di vivere in Italia. Pagano le tasse come noi, ma sono giovani, costano poco quanto a cure mediche e sono lontani dalla pensione (che nella maggior parte dei casi, tornando al proprio paese, non prenderanno). Risultato? Producono almeno quattro miliardi di avanzo l’anno. Un dato che però, inevitabilmente, è accolto con incredulità. Perché chissà se sarà vero. Perché vatti a fidare del governo e dell’INPS. E comunque, intanto, quei 3,3 miliardi, a conti fatti cinquantacinque Euro a testa l’anno, dobbiamo tirarli fuori. No, no! Troppi! In tempo di crisi, poi .... Meglio aiutarli a casa loro, se si può. O lasciarli schiattare in Libia, fingendo di non sapere cosa accade in quei lager. O lasciarli affogare nel Mediterraneo, perché in fondo sono loro ad aver scelto di rischiare.
Sabato sono stati pubblicati i dati sugli incassi delle slot machine. Dati completi: è facilissimo verificare quanto si gioca in ogni comune. Anche in quelli dove dominano i nazional-populisti e l’arrivo di una mezza dozzina di profughi fa scattare le proteste. Basta un clic del mouse per scoprire che ognuno di quei poveri cittadini lombardi o veneti, così sfruttati dagli immigrati, ridotti alla fame o quasi dai rifugiati, getta da cinquecento a mille e più Euro l’anno in videopoker e quant’altro. Un vizio, compulsione o mania, sul cui altare in tutta Italia si sacrificano quarantanove miliardi l’anno. Sì: ottocento Euro a testa; tremiladuecento l’anno per ogni famiglia di quattro persone.
No, non possiamo più permettercelo. 
Di essere così ipocriti.

venerdì 15 dicembre 2017

Una destra bigotta

La legge sul testamento biologico quasi non merita commenti. È un atto di civiltà minima, ampiamente dovuto nel terzo millennio. Qualche parola, invece, va riservata ai suoi oppositori. Rispetto chi crede che la vita sia un dono esclusivo di Dio. Non mi convincerà mai del suo diritto a imporre le proprie convinzioni al resto della società, e lotterò sempre conto questo suo atteggiamento, ma per lui non provo risentimento. Mi indignano, invece, i sepolcri imbiancati della peggior politica. Le maschere di Ensor pronte a barattare le sofferenze del prossimo per un titolo di giornale. Giovanardi (ma chi lo vota, Giovanardi?) che dopo aver detto che la povera Eluana Englaro “poteva vivere una vita vegetale ma stava bene”, ha paragonato la legge a quelle dell'eugenetica nazista. Gasparri che l'ha definita “una mostruosità.” Il suo ex gemello Storace che ha trumpianamente twittato: “Attendiamo ora una legge per vivere e una per convincere a nascere.” Con loro la Lega al completo che rivendica d'essere rimasta l'unica ad opporsi al “partito radicale di massa.” Espressioni ridicole, ma in qualche modo rivelatrici. Tutto si può dire dei radicali, ma non che non fossero dei libertari. I leghisti e il resto della combriccola, in effetti, sono altro. Tutti quanti strillano oggi alla sacralità della vita; sacralità “senza dubbi né esitazioni” secondo il programma della formazione di Storace. Vita che però smette di essere sacra non appena si trova su un barcone in mezzo al mare. Del cui valore si può dubitare se si trova rinchiusa dentro un lager libico. Che può benissimo spegnersi, in attesa che siano “aiutati a casa loro”, se appartiene a uomini e donne con la pelle un po' più scura della nostra. Il vocabolario italiano ha una aggettivo perfetto per definire chi affetta valori che in realtà non possiede; chi afferma una cosa e fa il suo esatto contrario solo per avere qualche voto in più. La nostra destra non è mai stata liberale. Si presenta come securtaria. Di certo è bigotta.

giovedì 14 dicembre 2017

Alabama

Lo scrivi e ti vedi davanti i campi di cotone e i cappucci bianchi del KKK. Troppo cinema, forse. Si vota anche laggiù, a ogni modo. Di questi tempi, per eleggere un senatore al posto di Jeff “Zio Fenster” Sessions, diventato procuratore generale. Il candidato democratico si chiama Doug Jones. Brava persona, ma non importa. Siamo nel profondissimo Sud. Da quelle parti The Donald ha vinto con 28 punti di distacco: non dovrebbe esserci gara. Il condizionale ci vuole, però, perché il repubblicano, Roy Moore, sembra uscito dritto da una distopia anacronistica. Avete presente il fesso che, durante un comizio delle primarie, agitava una pistola? Be’, era lui. Primarie che ha vinto comunque. “Perché in sintonia con la base radicale del partito,” per dirla in politichese. Una roba che neanche Salvini da giovane. “Con la schiavitù i valori della famiglia non erano in pericolo,” è stata una delle sue sparate. Per il resto crede che lasciar votare le donne sia stata una disgrazia. Che l’omosessualità andrebbe messa fuori legge. Che i musulmani non dovrebbero poter andare in parlamento. Che i precetti biblici andrebbero rispettati alla lettera. Il tipo che piace ai talebani fondamentalisti, insomma. E che spaventa chiunque abbia letto due libri e finito le elementari. Non bastasse, nelle ultime settimane tutta una serie di donne l’ha accusato di molestie sessuali. Accuse circostanziate, credibili. Una di loro aveva quattordici anni quando lui le ha messo le mani addosso. Insomma, Roy Moore è pedofilo, oltre che bigotto. Fine delle elezioni? Roy si ritira? Se non lo fa, si ritrova contro il proprio stesso partito? Sarebbe andata così qualche anno fa, in un’altra America. Non in questa, benedetta dalla presidenza Trump. Roy, prima quasi ammette, poi nega tutto. I repubblicani prima lo invitano a lasciar perdere, poi, salvo qualche eccezione, lo appoggiano. Sarà un pedofilo, ma è il loro pedofilo. Alla fine scende in campo il Carotone in persona: “Con la riforma fiscale da far passare, meglio avere in senato un pervertito che un fottuto liberal.” Non dice così, ma quasi. Non basta. Anche Bannon, la nazivestale del trumpismo, si fa sentire: “Moore è il nuovo che avanza: le accuse sono solo una manovra delle sempre maledette elite”.
Qualche elettore repubblicano ci crede. Gli altri? Rilasciano interviste che sono degne di un documentario etnografico. Sostengono che in fondo non c’è stata vera violenza. Che nella Bibbia le donne si sposavano ancora bambine. Che ... che si sa come sono fatte certe quattordicenni. Risultato: secondo i sondaggi è un testa a testa. Secondo le interpretazioni dei sondaggi, poi, vince Moore. In molti faticano a dire “sì, voterò per un pedofilo,” ma poi lo faranno.
Finalmente, ieri ci sono state le elezioni e, per la disperazione di Donald e Bannon, il candidato repubblicano è stato sconfitto.
Sì, “glory, glory hallelujah,” ma a noi checcefrega? Con le politiche dietro l’angolo, ci frega eccome. Vogliamo fermare l’ondata nazional-populista? Allora meglio capire come diavolo hanno fatto i democratici a vincere in uno degli stati più trumpiani d’America. Basta dare un’occhiata ai dati. Per cominciare levarsi di testa che gli scandali abbiano contato. Pedofilo o no, talebano o no, Roy Moore è stato votato dal 72% dei maschi bianchi. I repubblicani hanno continuato a votare repubblicano. Solo poche donne (tra le bianche Moore ha preso “solo” il 65%) e alcuni dei maschi più istruiti si sono rifiutati di turarsi il naso. I democratici non hanno vinto convertendo, detto altrimenti, ma convincendo. Prima di tutto i neri ad andare alle urne. Neri che era ovvio avrebbero votato compatti per loro, ma non in così tanti: come se avessero dovuto eleggere il presidente e non un semplice senatore. A fabbricarli uscire di casa ha contribuito proprio un appello di Obama. Molto, però, il candidato democratico ha fatto di suo. Da un lato non si è dato per sconfitto; dall’altro non ha dato per scontato l’appoggio degli afroamericani. Ha tenuto comizi nelle loro comunità e ha fornito loro delle ragioni positive per andare effettivamente a votare. Non ha recitato la solita pappardella sugli alti valori, i diritti civili, ecc. ecc. Ha parlato di lavoro e crescita economica; ha badato al sodo e alla fine ha vinto. Esattamente come da noi, con dei candidati decenti, parlando di contratti e salari, di salari e contratti ... .

Il cuore poetico d'Italia.


Mi guardano strano, i miei ragazzi, quando dico loro che Brescello è sott’acqua. Non ci sono morti, per fortuna, e non capiscono perché sia tanto emozionato. Colpa mia. Non perché li ho voluti europei; cittadini del mondo. Ho insegnato loro anche ad amare l’Italia, se per quello. Non Italien, la spiaggia infinita su cui splende sempre il sole. Non Italy, con il Colosseo circondato dai colli toscani, da qualche parte tra Venezia e Capri, dove un popolo spensierato vive sotto un cielo sempre azzurro. Ad amare proprio Italia, che resta bellissima, ma ha qualche ruga e tante cicatrici; dove può piovere e nevicare, ci sono fabbriche e uffici, e dove la gente sgobba quanto e più che in qualunque altro posto. Italia che ha un’anima, ma che a volte se ne dimentica. Italia che ha un cuore che, però, e questa è stata la mia mancanza, non ho mai spiegato loro dove cercare. Dove si trova per me.
Per rimediare ho levato la polvere dell’infanzia da uno dei miei ricordi più belli.
Una serata d’estate. Per forza: se ci fosse la scuola non potrei essere lì, sul divano con mamma e papà. Alla televisione danno un film. Deve essere già vecchio; lo intuisco, anche se non ho neanche dieci anni. Capisco poco altro, a dire il vero. Non so cosa sia una casa del popolo; non capisco neppure perché il compagno Peppone sia un compagno. L'attore che fa il prete però è Fernandel, e a me piace Fernandel. Non come Franco e Ciccio, ma mi piace: ha una faccia che fa ridere. Soprattutto ridono mamma e papà. Sì, anche papà che non ride mai. Ridono loro ed io, in mezzo a loro, sono in paradiso.
I miei ragazzi mi sorridono, invece. Pensano che stia diventando vecchio. Diciamolo: un po’ rincoglionito. Mi spiego meglio. Ricordo loro la situazione politica del dopoguerra. Torno il palloso padre di sempre. Non so se li rassicuri. Gli racconto di Giovannino Guareschi e, a grandi linee, la trama dei suoi libri e dei lungometraggi che ne sono stati tratti. L’Italia è il paese dei mille campanili, concludo, ma il campanile di Don Camillo è nella memoria di tutti gli italiani. Perlomeno di tutti quelli che hanno la mia età. “Immagino che per qualcuno quei film trasudino buonismo o vai a sapere cosa, ma hanno fatto di Brescello l’incarnazione di una certa idea, o sogno, del nostro paese. Il cuore poetico dell'Italia, appunto. Della poesia popolare, l’unica che conti veramente.”

domenica 10 dicembre 2017

Volontà generale e volontà di tutti.

(Sui ducetti del qualunquismo.)
Quelli sopra sono due concetti che è importante avere ben chiari in testa. Concetti elementari, introdotti suo tempo da Rousseau e che appartengono all’abicì della politica. Un esempio aiuta a capirli. Pensate alle tasse. Nessuno vorrebbe pagarle. La volontà di tutti sarebbe di vederle scomparire. Tutti, però, vogliamo strade, fognature, acquedotti, scuole e ospedali. Per quanto possiamo essere liberisti, sappiamo che nessuno stato può reggersi senza infrastrutture e che per coprirne i costi si devono pagare delle imposte. Detto altrimenti, è volontà generale che le tasse continuino ad esistere. Fin qui tutto chiaro? Per te sì, ma non per i tanti pronti a votare la “destra populista”. Uno degli stratagemmi più semplici usati dagli imbonitori della politica per procurarsi consensi, infatti, si basa sulla confusione tra i due termini. Li abbiamo appena visti all’opera nel fu Lombardo-Veneto. Cosa è accaduto da quelle parti? Si è contabilizzata (o tentato di contabilizzare) la volontà di tutti ignorando la volontà generale. Un interesse collettivo che viene regolarmente tenuto nascosto dai vari capipopolo. “La gente vuole,” dicono, ma, si tratti di alzare muri, introdurre dazi o uscire dall’Euro, tacciono quali sarebbero le conseguenze per la società nel suo complesso di quel che “la gente” sembra volere. Rousseau, invece, considerava preponderante proprio l’interesse collettivo. Secondo lui, la condizione per cui una società raggiunga il massimo grado di libertà è che tutti i suoi membri rispettino, appunto, la volontà generale. La penso come lui. E se qualcuno non fosse d’accordo? Rousseau voleva che fosse obbligato a conformarsi; che fosse costretto a essere libero. Da parte mia continuo a credere che questo sia un controsenso; che alla libertà, e a comprendere le responsabilità che ne derivano, non si possa obbligare, ma si debba educare. Un’educazione che dovrebbe venire prima di qualunque affiliazione e che comincia proprio con la comprensione dei termini del dibattito politico. Nonostante i troppi ducetti e il rumore delle loro bordate qualunquiste, di quello che dovrebbe essere, prima di tutto, confronto tra idee.

venerdì 8 dicembre 2017

Il partigiano, il sergente e il deportato.

Ci sono tre scrittori che hanno un posto speciale nel mio cuore.
Non sono i miei maestri. Non potrebbero esserlo. Nessuna scuola al mondo può insegnare a scrivere pagine come le loro. Sono semplicemente i tre scrittori che più amo; di cui mi sarebbe piaciuto essere amico, con cui avrei voluto parlare per ore. Appartengono a una categoria speciale. Se la vocazione è una chiamata, loro ne hanno avute due. Sono stati chiamati a scrivere e a scrivere proprio quei libri. Sono dei santi testimoni; per l’etimologia e non solo, dei martiri. Dopo aver vissuto quel che han vissuto, avevano solo due scelte: tacere o scrivere di quello. Poi anche d’altro, ma prima di quello. I tre sono Beppe Fenoglio, Primo Levi e Mario Rigoni Stern. Il primo è anche quello che più mi è vicino. Gli somiglio. Per la sigaretta sempre in bocca, diranno i miei amici. Per il rapporto con l’inglese. Per entrambi la lingua della libertà; della fuga da un mondo che sentivamo opprimente. La provincia fascista per lui. La provincia che aveva smesso la camicia nera, ma era rimasta in fondo la stessa, per me. Primo Levi e Mario Rigoni Stern sono due grandi sottovalutati. Non fossero mai stati ad Auschwitz e Nikolajewka, sarebbero comunque nella storia della nostra letteratura; sono due maestri della nostra lingua. Basta leggere i loro racconti. Il Levi scrittore di fantascienza, in particolare, sta là, accanto a Buzzati e Calvino. Passeggiare nei boschi di Rigoni Stern è respirare un italiano limpido come un’alba in montagna. L’aggettivo giusto è “croccante”. Tutti assieme sono la nostra Epica. L’unica, vera, che sia stata scritta da quando siamo tornati a essere una nazione. Julio Llamazares, lo scrittore di quel piccolo libro straordinario che è “La pioggia gialla”, dice che “la Letteratura è la memoria storica di un paese”. Ecco: quei tre sono, più di ogni altro, la nostra memoria storica. “Articolare storicamente il passato non significa conoscerlo come propriamente è stato. Significa impadronirsi di un ricordo come si presenta nell’istante di un pericolo.” Lo scrive W. Benjamin nelle “Tesi di filosofia della storia.” Il partigiano, il sergente e il deportato sono lì, sulla carta, per diventare nostri. Basta leggerli per saper riconoscere il pericolo. Ricordarsi della loro resistenza per trovare le ragioni della nostra.

giovedì 7 dicembre 2017

A quando il morto?

Il pestaggio a sangue di un giornalista o di un oppositore, se non altro? Perché è questo che minacciano, no? Il non detto, il sottinteso. Quello che sta dietro quelle maschere e quei fumogeni. Una violenza che per adesso è trattenuta, ma che è lì, nell’aria. Che può scatenarsi da un momento all’altro. Ammetterlo è costatare l’evidente. E’ dire chiaro e tondo che Repubblica è stata minacciata da una squadraccia fascista. Che Forza Nuova è un’organizzazione fascista. A pochi giorni dall’incursione neonazista a Como, è riconoscere che in Italia, nel 2017, è tornata la logica del manganello. La conseguenza, anche, di certi ammiccamenti della nostra politica. Quelli di Beppe Grillo, per cominciare, se non altro per il suo peso nei sondaggi. Le porte del mo’vi mento saranno sempre aperte ai militanti di CasaPound, diceva tre anni fa. “Basta che abbiano i giusti requisiti”. Teste rapate, neofascisti, ma con i giusti requisiti. Una barzelletta che fa ridere solo chi è capace di tracciare equivalenze morali tra una mazzetta e un genocidio. Nella stessa occasione, l’ex comico affermava: “L’antifascismo non mi compete”. Roba vecchia, insomma. Ciarpame. Beppe Grillo che, peraltro, quanto a minacce alla stampa ha poco da invidiare agli squadristi. Poi civetta con i neofascisti il duo Salvini-Meloni. Bella coppia davvero. Uno che con il tricolore voleva pulirsi il didietro e l’altra che nello stesso tricolore si avvolge. Roba per palati forti. E per equilibristi della logica. A Como, secondo loro è avvenuta un’intimidazione non violenta. Oh yes: intimidazione, ma non violenta, e come tale da non perseguire. Anche perché, Salvini dixit, i neonazi non sono un vero problema: a fare paura sono gli immigrati. I tremendi vu cumprà contro cui lottano i coraggiosi sindaci padani. Assieme a loro, tra i camerati ad honorem, metteteci l’ex Bandana; Silvio I lo sdoganatore. I fascisti in parlamento li avevamo da sempre. Lui però li ha portati al governo. E con loro ha legittimato i progenitori della galassia nera che l’Espresso ha ben fotografato. Lo zar Vladimir (sempre lui) a dare una mano da lontano. Le Pen e i brexisti a metterci un po’ di soldini. (E pare che c’entrino pure i servizi segreti di Sua Maestà). Tante società, dei più vari settori, che fanno guadagnare alla causa (o a chi per lei). In più, la capacità, grazie ad associazioni/paravento, di succhiare altri soldi tanto all’odiata Unione Europea quanto ai fondi del cinque per mille. Altro che “rappresentiamo ogni italiano tradito da chi con la penna favorisce Ius soli, invasione e sostituzione etnica”, come recita il loro comunicato. Davanti alla sede di Repubblica, quelli mascherati come rapinatori difendevano la segretezza degli inconfessabili interessi economici dei loro capoccia. Finanziati dall'estero, un tempo si sarebbe detto al soldo di potenze straniere, non sono solo anti europei; sono il volto feroce dell’anti – Italia. In attesa che la magistratura si decida a fare il proprio dovere, i loro voti dovrebbero essere considerati tossici. Senza se, senza ma e senza benaltrismi. Per non essere complici, o almeno non esserlo fino in fondo. Per non rischiare d' avere la Repubblica sulla coscienza. E non parlo del giornale.

mercoledì 6 dicembre 2017

Se vi sembra normale avete un problema.


Se vedere girare dei nazisti per le nostre città non vi annoda lo stomaco, non vi fa schifo, questa è la parola da usare, lo schifo istintivo, epidermico, che si riserva a quanto vi è di più disgustoso, avete un problema. Al cuore e al cervello. Vale per tutti. Anche per i comici prestati alla politica che tre anni fa dichiaravano “l’antifascismo non mi compete”. Ho scritto  queste righe dopo aver visto quel che è accaduto a Como. Un branco di naziskin ha interrotto la riunione di un’associazione per l’aiuto agli immigrati. Il nazi-capoccia ha letto un comunicato (su cui tornerò) prima di andarsene salutando con un “continuate pure a rovinare la Patria” o qualcosa del genere. Un episodio? Sì, ma tra tanti, troppi. A farmi riprendere questo articolo è la manifestazione dei militanti di Forza Nuova davanti la sede di Repubblica. Un altro branco. Questa volta con i volti coperti da maschere e impegnato a lanciare fumogeni. Si tratta solo di sparute minoranze? Leggi i commenti in Rete e capisci che possono contare su un’area di consenso non trascurabile. Pensi a quanti pochi siano i nostri giovani e ti rendi conto che tanto sparuta quella minoranza non è. Quelle teste rasate non sono un’anomalia statistica; sono un fenomeno sociale. Non basta condannarle; dobbiamo capire da dove arrivano. Spiegarcele. 
Un decennio fa, sentendo certi discorsi nelle fabbriche, di fronte alla direzione che il paese stava prendendo, ero pronto a scommettere su un ritorno del terrorismo. Vedevo un’intera generazione condannata al sottolavoro e al precariato, pagata sempre e comunque poco, sicuramente meno di quanto lo fossero le precedenti, e immaginavo che qualcuno, prima o poi, sarebbe tornato a impugnare le pistole. Quel malcontento ha preso un’altra direzione. Per certi versi, l’unica disponibile. Le grandi narrazioni del ventesimo secolo non sono tutte fallite. Una non ha fatto in tempo. E’ stata sconfitta prima, ma solo dal punto di vista militare. Certo, parlo del nazifascismo. Sul fronte della propaganda, poi, il fascismo italiano ha stravinto. E’ stato un regime tra i più corrotti, con una politica economica ridicola che ha portato il paese sull’orlo della bancarotta alla vigilia dell’entrata in guerra. E’ ricordato come una specie di governo degli onesti che faceva arrivare i treni in orario. Soprattutto, esattamente al contrario di quanto accadde (durante il ventennio gli stipendi reali sono sempre e solo diminuiti), come l’autore di una specie di miracolo economico. Ovvio che attragga, ora. Leggevo che sta crollando la motorizzazione giovanile. Vent’anni fa più della metà dei giovani aveva un’auto. Oggi solo un terzo. Grazie al “car pooling”, come ha scritto qualcuno? Ma va! Grazie ai seicento Euro il mese guadagnati da tanti. Grazie a stipendi che sarebbero da fame; con cui non puoi permetterti di mangiare, altro che auto. Il condizionale è legato all’aiuto delle famiglie. Figli e nipoti guadagnano pochissimo, ma poi ci pensano papà e nonni. Abbiamo sostituito la paga con la paghetta. Con la mancia. Abbiamo, di fatto, espropriato i giovani della loro dignità. Il risultato di una serie di scelte scellerate. Scelte nostre, si badi bene. Il nazi-capoccia, nel suo discorso, se l’è presa con gli immigrati, ovvio. Assieme a loro ha tirato in ballo l’Europa, la globalizzazione ... Tutto l’armamentario del nostro populismo. Un populismo che sceglie di ignorare un semplice dato: l’Italia non ha mai esportato tanto quanto ora; ha stravinto la sfida della globalizzazione. A condannare i nostri giovani non è stato l’Euro come non è la concorrenza cinese. E’ stata la difesa a riccio dei diritti (o privilegi) acquisiti. Dagli individui come delle categorie. La sponda costantemente offerta all’evasione fiscale. Il sistema pensionistico più costoso (in rapporto al Pil) dell’Occidente. Uno stato che consuma metà della ricchezza nazionale (un percentuale da paese scandinavo) per non dare né vere borse di studio, né veri aiuti alle famiglie, né fare edilizia pubblica; che usa fino all’ultimo centesimo in stipendi e, ancora, pensioni. Gli stipendi e le pensioni con cui hanno sempre comprato il consenso i nostri governi di ogni colore. A cominciare proprio da quello mussoliniano e per finire con le amministrazioni leghiste. Cose risapute, ma che la politica continua a tacere. Per non perdere voti. Perché fare qualcosa a riguardo, destinare ai giovani qualche risorsa in più, scontenterebbe legioni di elettori. Molto meglio prendersela con gli immigrati o con l’Euro; con i mai precisati poteri forti come con le mai ben individuate elite. Il nazista con il cervello imbottito di spazzatura è il risultato logico di tutto questo. In fondo fa solo un passo in più rispetto ai milioni che si lamentano ma non sono disposti a cambiare in nulla. Aggiunge gli ebrei (di cui di solito non sa nulla) all’elenco dei capri espiatori, ma per il resto si limita ad avvolgere in una bella svastica tutto il ciarpame che le nostre tante destre (abbiamo anche le destre a propria insaputa) hanno fatto passare per politica negli ultimi vent'anni. E’ il figlio feroce di un paese che non ha proprio nulla di rivoluzionario; di un’Italia visceralmente, pervicacemente, immobile.

Il partito della solitudine


Non partecipo alle processioni, non sventolo bandiere e non sopporto capi. 
Forse sarei anarchico, se la ragione non mi dicesse che non si può costruire una società complessa sull’anarchia. La ragione maledetta (dagli altri) da cui almeno idealmente vorrei farmi guidare. Ecco: sono un “bieco” illuminista. Uno squallido moderno che pretende di spiegare tutto con il cervello; che ritiene che dalle viscere, dalla pancia, dei popoli come degli individui, vengano solo rifiuti, anche di pensiero. Di che partito sono? Sarei stato certamente azionista; mi sarebbe piaciuto essere amico di Gobetti ed essere accanto a Parri. Ho sempre votato, ma non l’ho mai fatto per qualcuno che davvero mi rappresentasse. Il mio partito, alla fine, è sempre stato quello della solitudine.

Partigiani della parola.

Pensa a quanta spazzatura c’è nella testa di troppi,
pensa a come è arrivata lì, e capirai che la nuova resistenza dovrà agire sul terreno della cultura. Nessuna retorica dietro quest’affermazione. Solo la costatazione che la sconfitta è stata prima di tutto culturale. Non c’è nulla di naturale o scontato nelle idee che sono diventate dominanti Sono il risultato di una diseducazione e di una disinformazione durate decenni. Di centinaia di film e telefilm e riviste popolari e articoli di giornali, anche insospettabili, che hanno mutato la nostra visione del mondo. Una cultura “popolare” che ci ha inoculato i virus dell’individualismo e della competizione. Un individualismo che tritura gli individui. Che li riduce a puri consumatori; a carne da centro commerciale con sempre meno diritti. Perché privato è bello. Privato è meglio. Perché lo stato sociale è fallito. (Ma dove? Ma quando?). Perché certi lussi nel mondo nuovo non possiamo più permetterceli (Ma come? Ma perché?) Una competizione spacciata come valore in sé. “Bisogna educare i giovani a competere”, ho sentito dire senza un minimo di vergogna. A competere per cosa? Per un posto di lavoro sottopagato; tutto quel che può ottenere un individuo lasciato solo davanti al mercato? Cosa ci vuole a capire che è la cooperazione a essere più propria dell’umano; che è cooperando meglio di altre specie che siamo arrivati a dominare il pianeta? Stiamo parlando d’idee elementari. Sono quelle che dobbiamo rimettere in circolo perché si possa tornare a progettare; a sognare qualcosa che non sia solo l’angolo più asciutto della caverna. Non si tratta di fare propaganda. Neppure è il caso di parlare di lotta politica. Dobbiamo impegnarci in un’opera di educazione pre-politica; che ricrei le condizioni perché abbia senso una politica diversa dalla feroce conservazione dell’esistente. Ognuno come può. Giorno dopo giorno. Con spirito da partigiani della parola.

Ma non vi vergognate almeno un po’?

Branco di narcisi. Tutti. Dal primo allultimo. Capi e capetti. Caporali. Il paese sta affondando. Rischiamo di avere dei nazisti in parlamento. Rischiamo di uscire definitivamente dal primo mondo (ammesso di farne ancora parte); di andare gioiosamente incontro alla bancarotta. Non importa come siamo arrivati a questo punto. Non più. Non si tratta di attribuire colpe. Solo dovete ficcarvi in quelle maledette teste che siamo messi così. Che non cè futuro. Non se vincono gli sfascisti. Lo capite? No. Preferite sognare. Di fare i ducetti. Peggio ancora, di fare la bella vita allopposizione. Qualche reboante dichiarazione di principio e nessuna responsabilità. Bravi. Pensate di essere furbi; fate a gara a chi le spara più intelligenti. Siete i degni eredi del compagno Bertinotti. Precisi e chirurgici come DAlema, che non a caso è con voi: un campione dellautocastrazione. Ciccino De Benedetti dice che forse voterà scheda bianca. Un genio anche lui. Come quel suo parente, ex di tutto, padre nobile del giornalismo italiano (bella roba ...) e senile riscopritore del berlusconismo. Io invece voterò per uno di voi. Non mi piacete, ma voterò per uno di voi. (E tra voi, se non si fosse capito, ci metto anche Matteuccio). Non tappandomi il naso; trattenendo i conati.  Semplicemente perché siete lepatite o il colera, ma non siete ebola. E come me faranno milioni. So benissimo di essere come tanti, di essere solo ... statistica. Non sono un fottuto adolescente come voi. Saremo milioni e voteremo un po questo e un po quello e ... vinceranno quelli là. E saremo finiti. Come comunità nazionale, morti. Puntiamo al 10 per cento diceva qualcuno di voi. Per fare cosa? Per fare vedere agli altri compagnucci che ce lavete più duro? Ma per piacere: crescete! E ricordatevi almeno un po di storia. Togliatti e Degasperi li avete mai sentiti nominare? Be, in una situazione non troppo peggiore dellattuale (avevamo i tedeschi in casa e le città in macerie, ma perlomeno cerano i sogni e gli ideali) per il bene del Paese hanno lavorato assieme dal 43 al 47. Un loro mignolo valeva come tutti quanti voi, ma la decenza di indicare un candidato comune alla presidenza del Consiglio dovete trovarla. Renzi? Gentiloni? Grasso? Anche il cugino Oronzo, purché sia presentabile agli italiani. Un candidato comune e un programma minimo. Recupero del potere dacquisto dei salari. Riforme, a cominciare da quella della giustizia civile. Il nulla o quasi che ci vorrebbe per far ripartire lItalia. Pochi punti, chiari,  e la dimostrazione di avere una classe politica perlomeno maggiorenne.