giovedì 28 dicembre 2017

Non inchinatevi davanti al Sacro Testo. Piuttosto, rileggetelo.

Sì, sto parlando della nostra Costituzione che, senza troppi festeggiamenti, compie settant’anni. Un’età che, scoprirete già dopo poche righe, proprio non dimostra. Certo non dal punto di vista linguistico: è scritta in un italiano limpido, cristallino, perfettamente comprensibile anche a chi, come me, non ha la minima cultura giuridica. Nel paese del burocratichese, dove ancora oggi non si timbra il biglietto ma si “oblitera il titolo di viaggio”, non sembra provenire dal passato ma dal futuro. Una considerazione che dice tutto degli uomini che la scrissero; della loro levatura morale e intellettuale come delle loro intenzioni. Molti di loro erano reduci dall’esilio, dai campi di prigionia o dalla guerra partigiana. Tutti avevano dovuto attraversare le tenebre del regime e tutti (anche Togliatti e i suoi, altro che) erano mossi dall’amor di Patria. Dopo la fumosa retorica del fascismo, volevano che la Repubblica nascesse nella chiarezza. Con il paese distrutto, non solo materialmente, volevano che il documento della nostra rifondazione durasse nei secoli. Con questo non voglio dire che sia “la più bella Costituzione del mondo.” E’ un’altra di quelle affermazioni bigotte che è meglio evitare. In alcuni punti specifici, poi, può forse essere migliorata (certo intervenendo con mille cautele). Difficile immaginare, però, un più armonico disegno di comunità nazionale; di un’Italia davvero civile, che riconosce e fa propri i più alti e nobili valori. Un’Italia ideale, che non è né quella di ieri né quella di oggi. La Costituzione è anche sogno e speranza: immagina l’Italia come potrebbe essere se ci educassimo alla libertà e alla responsabilità; se smettessimo di ragionare da sudditi e cominciassimo a comportarci da cittadini. Piero Calamandrei ripeteva che la Costituzione non andava considerata come una legge morta ma “come un programma politico”. Un progetto lanciato, un’ idea viva dell’Italia che dice anche chi sono gli italiani: tutti quelli che vogliono sacrificarsi per partecipare a questo progetto di comunità e si riconoscono in quest’idea di civiltà. Tutti: non importa il colore della loro pelle, la loro origine o la loro religione. Quanto a chi ha bisogno di tirare in ballo il sangue e la razza per definirsi, di fatto nega la Costituzione e i suoi valori. Può andarsene in giro avvolto nel tricolore (lo stesso con cui pochi anni fa minacciava di pulirsi il didietro) ma abusa del titolo di cittadino della Repubblica.

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