mercoledì 6 dicembre 2017

Partigiani della parola.

Pensa a quanta spazzatura c’è nella testa di troppi,
pensa a come è arrivata lì, e capirai che la nuova resistenza dovrà agire sul terreno della cultura. Nessuna retorica dietro quest’affermazione. Solo la costatazione che la sconfitta è stata prima di tutto culturale. Non c’è nulla di naturale o scontato nelle idee che sono diventate dominanti Sono il risultato di una diseducazione e di una disinformazione durate decenni. Di centinaia di film e telefilm e riviste popolari e articoli di giornali, anche insospettabili, che hanno mutato la nostra visione del mondo. Una cultura “popolare” che ci ha inoculato i virus dell’individualismo e della competizione. Un individualismo che tritura gli individui. Che li riduce a puri consumatori; a carne da centro commerciale con sempre meno diritti. Perché privato è bello. Privato è meglio. Perché lo stato sociale è fallito. (Ma dove? Ma quando?). Perché certi lussi nel mondo nuovo non possiamo più permetterceli (Ma come? Ma perché?) Una competizione spacciata come valore in sé. “Bisogna educare i giovani a competere”, ho sentito dire senza un minimo di vergogna. A competere per cosa? Per un posto di lavoro sottopagato; tutto quel che può ottenere un individuo lasciato solo davanti al mercato? Cosa ci vuole a capire che è la cooperazione a essere più propria dell’umano; che è cooperando meglio di altre specie che siamo arrivati a dominare il pianeta? Stiamo parlando d’idee elementari. Sono quelle che dobbiamo rimettere in circolo perché si possa tornare a progettare; a sognare qualcosa che non sia solo l’angolo più asciutto della caverna. Non si tratta di fare propaganda. Neppure è il caso di parlare di lotta politica. Dobbiamo impegnarci in un’opera di educazione pre-politica; che ricrei le condizioni perché abbia senso una politica diversa dalla feroce conservazione dell’esistente. Ognuno come può. Giorno dopo giorno. Con spirito da partigiani della parola.

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