martedì 12 giugno 2018

Il viaggio del transatlantico Saint Louis.

Ne ho già scritto, ma non posso fare a meno di ripensarci. Salpò da Amburgo il 13 maggio 1939 con a bordo 930 ebrei in fuga dalla Germania nazista. Oggi li chiameremmo rifugiati. Richiedenti un asilo che fu loro negato dalle autorità cubane, statunitensi, canadesi, inglesi .... Nei vari paesi in cui la nave attraccò fu consentito di sbarcare solo a piccoli gruppi di passeggeri. Alla fine rimasero a bordo in 620 che dovettero tornare in Europa. Solo ottantasette di loro riuscirono a lasciarla di nuovo prima dello scoppio della guerra. Più di duecentocinquanta dei restanti morirono nei campi di stermino. Una tragedia minore dentro quella immane dell’Olocausto e, nel contempo, una macchia indelebile per l’onore (scusate se uso questo termine antiquato) dei governi che decisero di lasciare quegli uomini e quelle donne al loro destino. Fatte le debite proporzioni, oggi è accaduto qualcosa di simile. Ringraziamo pure la Spagna che accoglierà i 629 a bordo dell’Acquarius. Non festeggiamo, però. Non c’è proprio nulla da festeggiare. Il nostro ministro degli Interni, con alle spalle un partito votato sì e no dal 13% degli aventi diritto, ha compiuto una scelta che si può difendere solo chiamando in causa la discutibile categoria del conveniente, ma senza riguardo a quelle del giusto, del doveroso e dell’umano. Il viaggio dell’Acquarius non finirà nel dramma. Per noi italiani, tutti, resta la vergogna. Oggi non abbiamo dimostrato all’Europa e al mondo la nostra forza. Guidati da chi fino all’altrieri diceva di non riconoscersi nella nostra bandiera, abbiamo esibito tracotanti il volto sfigurato di un paese ormai senz’anima. Accompagnato dai cori beceri sollevati in rete da un razzismo ignobile, il più disgustoso dei nostri ritratti.

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