Lui non ne parlava. Non parlava quasi mai. Nel paio d’anni che l’ho
frequentato, avremo conversato tre o quattro volte. Altrimenti solo “buonasera”
quando entravo nel suo negozio e “buonasera” quando me ne andavo. In italiano,
lingua di cui conosceva qualche parola, imparata ora immagino dove. Per il
resto di lui non so nulla. Solo che era ebreo. Tra i miei ristoranti di allora
c’era Hanna, in Dob utca, un locale kosher che mi aveva fatto conoscere lo
stesso vicino di pianerottolo che mi ha insegnato a leggere l’Ebraico. L’unica
volta in cui l’ho visto lontano dal suo bancone è stato lì, un venerdì sera,
mentre cantava in coro con altri ebrei ortodossi, reduci dalla Sinagoga e dalla
funzione per lo Shabbat. Poi so che era tifoso della Juventus. L’ho scoperto un
lunedì, entrando nella sua libreria con la Gazzetta sotto il braccio. Che
volete, sono tifoso anche io. Di basket, ma non credo faccia troppa differenza.
Mi disse che amava la Juve per via di un suo conoscente che doveva averla
allenata negli anni ’30. Sì, era vecchio e proprio come lo immaginerete, con un
gran barbone bianco e gli occhiali cerchiati di metallo, tondi e spessi. Era
molto vecchio e credo fosse molto colto. Doveva esserlo, per tenere aperta una
libreria antiquaria nella colta Budapest di allora. Nella coltissima
Ferencváros, anzi. Da lui ho comprato parecchio. Nulla di troppo speciale. Più
che altro libri seicenteschi di cui ammiravo le illustrazioni. Poi un giorno ho
trovato la libreria chiusa. Punto. Di suo mi restano quei libri e il ricordo di
una frase. Una sera, forse proprio l’ultima sera in cui l’ho visto, sono
entrato nel suo negozio con un’espressione torva. Qualche problema sul lavoro,
un camion che non era arrivato o un altro che non era partito. Insomma, dovevo
avere l’aria depressa. Forse arrabbiata. Lui mi ha salutato con il solito “buonasera”. Poi però ha continuato a
guardarmi. Dritto in faccia, con le pupille perse dietro i fondi di bicchiere
di quei suoi occhiali. Mi ha osservato, mi ha sorriso e mi ha detto: “Ha nem
vagy boldog, te vagy az egyik.” Spero di averlo scritto bene. In italiano
significa: “Se non sei felice, sei uno di loro.”
Mi sono trovato a ripensare a quella frase qualche anno
fa, leggendo da qualche parte un “se non sei felice sei complice” che voleva
dire esattamente la stessa cosa. La capisco davvero solo ora, però, vedendo
cosa può provocare l’insoddisfazione nell’animo umano. Ora che so chi sono
“loro”, i frustrati odiatori seriali, e mi sconvolge vedere su quanti complici
possono contare.
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