sabato 21 aprile 2018

Potreste essere miei figli.

Lo scrivo e me ne pento. Una frase che avrete già sentito, ma che potrete capire solo quando sarete voi ad essere padri. Credetemi, però, se vi dico che mi ha fatto male vedervi in quei filmati. Guardarvi trattare a quel modo un vostro insegnante. Male per lui, umiliato e deriso mentre cerca di fare il proprio lavoro. Male soprattutto per voi, così giovani e già condannati. Destinati "a confinata sorte"; a una vita dagli orizzonti chiusi o peggio. Condannati dalla società, dalle vostre famiglie e da un intero sistema educativo, mass media compresi. Da chi ha fatto di voi delle caricature di delinquenti. Dalla libertà che affettate; dalla stupidità che dimostrate. Quella del prigioniero che disprezza chi potrebbe aprirgli la cella. Chi potrebbe salvargli la vita. Non ho nulla per essere un modello. Ho tre figli e un muto, dico sempre, prima di allargare le braccia. Per il resto potrei parlare solo di quello che mi manca. Sono quasi felice, però. E a volte felice senza il quasi. Di una vita che mi sono scelto. Che sento mia. Che ho vissuto appieno anche grazie a un paio d'insegnanti. Senza di loro avrei accettato quel che per me avevano già scritto altri. Mi sarei accontentato. E probabilmente ora avrei un'ulcera o dovrei ricorrere a qualche psicofarmaco. Insegnanti salva-vita, chiamo quelli come loro. Non sono tanti, ma ce ne sono in ogni scuola. Come si riconoscono? Non certo dall'aspetto. Il primo che abbia visto in me uno scrittore, che mi abbia detto “tu devi scrivere”, è stato il mio prof d'Italiano alle Medie. L.R. Non sono sicuro che voglia si sappia il suo nome. Un ragazzo del sessantotto, con l'eskimo innocente, un rottame di Due Cavalli, grandi ideali e nient'altro. Nessun evidente carisma. Nessun atteggiamento da “attimo fuggente”. Dei capelli lunghi che se ne andavano da tutte le parti e una corporatura esile, tutta pelle e ossa. Un insegnante, però, che mi ha convinto di avere del talento. Soprattutto che mi ha fatto capire che avrei potuto essere anche quello che neppure sognavo di poter essere. Con qualche parola giusta. Suggerendomi i libri giusti. Il primo? Non lo ricordo. L'ultimo, ce l'ho ancora. “La rivoluzione industriale e l'impero” di Eric J. Hobsbawm, tanto perché capissi come storia ed economia andassero a braccetto. Un professore che mi ha aperto una finestra che altrimenti, con una famiglia come la mia, avrei sempre lasciato chiusa. Famiglia che, però, mi aveva perlomeno insegnato a rispettare chi stava cercando di insegnarmi qualcosa. Il minimo assoluto dell'educazione. Quello che a voi manca. Voi che siete troppi per essere liquidati come casi isolati. Voi che, pur considerata la vostra gioventù, avete delle precise responsabilità. Noi adulti che a questo punto dobbiamo fermarci un momento,lasciar perdere i telefonini, spegnere televisori e computer e guardarci in faccia. Senza lanciare accuse e senza cercare scuse. Solo per cercare di capire dove diavolo stiamo sbagliando: genitori e figli, insegnanti e tutti quanti.

Nessun commento:

Posta un commento