lunedì 30 aprile 2018

Buon Primo Maggio.

A chi lavora, ha lavorato e lavorerà. In una Repubblica fondata sul lavoro, ma dove i lavoratori sono sempre stati solo portatori di voti e consensi. Divisi per categorie. A questo o quel partito. Sempre in fabbrica, in ufficio o nei campi. Lontanissimi dal potere ieri, oggi e domani. Cosa accomuna i due nuovi dioscuri della politica nazionale? Non hanno mai lavorato un giorno o quasi. Come i peggiori politicanti della Prima Repubblica. Campioni di retorica come loro. Come loro immaginifici spacciatori di pseudo-soluzioni, con pochissimo senso della realtà e ancor minor rispetto del bilancio. Capaci solo di proporre altri debiti. Il risultato delle distribuzioni di pane alla plebe e degli sconti fiscali a chi, comunque, di tasse ne ha sempre pagate poche. Il tutto nella convinzione che all’Italia non rimanga che gestire la propria decadenza. Un paese che invece resta a galla. Nonostante tutto. Solo grazie a chi lavora. Tra loro, chi produce le cose belle che esportiamo in tutto il mondo. Aziende floride in un’economia che è al collasso proprio perché ci si è dimenticati dei lavoratori. Dei loro salari. E nessuna forza politica, neppure quelle nuovissime, dice qualcosa a riguardo. Basterebbe un piano decennale o ventennale per il graduale recupero del potere d’acquisto degli stipendi. Nulla di rivoluzionario. Un provvedimento concordato con gli imprenditori che farebbe ripartire il mercato interno e potrebbe innescare un nuovo boom economico. Poi servirebbe il coraggio necessario a proclamare due verità. La prima è che lo sfruttamento dei lavoratori è un reato grave quanto un rapimento o a una rapina. Dal 2016 una legge prevede il carcere almeno per i caporali dell’agricoltura. Dovrebbe finire in galera chiunque paghi i dipendenti meno del dovuto o li costringa a lavorare in nero. Dipendenti, e questa è la seconda verità, che comportano superiori costi sociali se assunti a termine. Ne consegue che se il lavoro temporaneo deve esistere, in alcuni specifici settori è una necessità, deve costare di più, nettamente di più, di quello a tempo indeterminato. Una legislazione che ne prendesse atto, spazzerebbe via i tanti furbetti che, specie nel nostro arretratissimo terziario, condannano i propri dipendenti a un eterno precariato. Sarebbe un altro modo di restituire dignità al lavoro. Un passo decisivo per uscire da questa crisi infinita. Iniziata addirittura nel 1985 (guardate i dati sulla produttività, se avete dei dubbi), con l’abolizione della scala mobile. L’inizio di un circolo vizioso, salari sempre più leggeri, mercato interno sempre più ristretto, che ancora ci sta soffocando. Che spezzeremo definitivamente quando capiremo fino in fondo il significato, anche economico, di quel primo articolo della nostra Costituzione. Quando il Primo Maggio, detto altrimenti, tonerà ad essere qualcosa più dell’occasione per un gran concerto e per scambiarci degli auguri.

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