lunedì 14 maggio 2018

Patria.

Un termine che scrivo sempre con la maiuscola e quasi sempre riferendomi all’Italia. La Patria del mio cuore, viscerale, per cui mi emoziono e a volte vorrei piangere. Una Patria che, da buon italiano, sento come una Mamma. Magari non sempre perfetta, ma sempre e comunque la Mamma. Mi riconosco, però, anche in una Patria microscopica, fatta di rocce taglienti, neve, lastre di ghiaccio e prati spelacchiati dal gelo. Una Patria in cui non sono nato e non ho mai vissuto, ma che è la terra dove affondano le mie radici. E’ la mia culla, se volete, odorosa del fieno tagliato sotto il sole d’agosto nel ricordo delle vacanze infinite che passavo con i nonni. Poi c’è casa mia: l’Europa. Tutta: da Pantelleria (che ricordi ...) a Christiania; da Inisheer (ho pensato di andarci a vivere) a Ferenczvaros (dove ho vissuto). Un’Europa che è la mia dimensione spirituale; che definisce la mia cultura. Una grande Patria che è anche il risultato di un’educazione, certo, ma che è vera e sentita quanto le altre. Nessuno mi chieda di rinunciarvi. Sono europeo esattamente quanto sono italiano: fino al midollo. Piuttosto, devo ancora crescere. Voglio completare quell'educazione e arrivare a sentire come Patria tutto il mondo. Perché siamo tutti a bordo di quest’astronave sempre più piccola lanciata tra le stelle. Perché un africano o un cinese ridono e piangono proprio come noi. Non ci sono ancora. Non fino in fondo. Ci arriverò. Parafrasando le parole di un poeta mio amico, un giorno voglio poter dire, ai nipoti che spero d’avere: “Sono campanilista come ogni italiano, ma il mio campanile si chiama umanità.”

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