martedì 20 febbraio 2018

I centri sociali sono un pericolo per la democrazia,

dice Silvio Berlusconi. Un termine vago, “democrazia”, quando passa per democraticamente eletto anche Putin. Se invece volesse scoprire il volto del peggior nemico della Repubblica nata dalla Resistenza, dei principi su cui poggia la nostra Costituzione, Berlusconi non avrebbe che da guardarsi allo specchio. Non lo sto demonizzando. Penso solo alle sue televisioni; al loro impatto sulla nostra visione mondo. Emilio Fede e i suoi colleghi influenzavano il voto, ma la tivù commerciale era tutta, ventiquattro ore il giorno, un veicolo di disvalori. Film e telefilm, di solito Made in Usa, celebravano come virtù quelli che per i nostri nonni sarebbero stati difetti. L’individualismo. Il materialismo. Il possedere e l’apparire come sostituti dell’essere. Il tutto con un linguaggio adatto a un pubblico di adolescenti. Magari cinquantenni. Anche i quiz sembravano disegnati per dei bambini. “Forza signora. La capitale della Francia è ...? Forza, Pa ... Pa ... Sììì: Parigi! Bavissima”. Lessico semplice e grammatica minima, per soddisfazioni superficiali ma immediate. Sempre. Le tette di Tini Cansino, per tenere gli occhi dei maschi incollati allo schermo, e battute di bassa lega per far ridere tutti. Risate automatiche, che arrivavano senza pensare. Drive in, per chi se lo ricorda, come inizio della fine? Un momento della trasformazione degli italiani nell’orrida ggente dei futuri proclami berlusconiani. Ggente senza più ideali e senza radici. Consumatori. Di tutto. Anche della politica. Non più confronto d’idee ma scontro di personalità. Fatta non più di dibattiti, ma di risse. Una forma d’intrattenimento in più per ex cittadini ridotti in spettatori. Ormai convinti che nulla contasse davvero. Traditi da Tangentopoli (e Craxi-Andretti-Forlani un posto tra i nemici della Repubblica certamente lo meritano). Il cui unico obiettivo, o sogno, erano diventati i soldi. Il denaro apparentemente facile dei campioni dello sport. Quello generato dal nulla delle magie finanziarie. Soldi che poi, sono venuti a mancare; che anche i più ottimisti hanno cominciato a capire non sarebbero mai stati loro. E’ arrivata la crisi. Per tanti era già arrivata la disillusione. Produci, consuma, crepa. Tutto si è ridotto a questo e non può bastare. E’ dis-umano. come le vite passate davanti agli schermi. Poco importa che siano diventi quelli dei computer. Dalle tette di Tini si è arrivati al rancore che è la cifra della nostra società mentre l’ansia di avere si è trasformata in paura di non avere più e nella certezza di essere soli. Senza più appartenenze. Nel nulla. In un deserto che è il terreno di coltura dei nuovi fascismi. Movimenti che forniscono identità e fanno sognare. Magari il ritorno a un ventennio che il revisionismo, che in quelle televisioni ha trovato ampi spazi, ha trasformato in un’età dell’oro. In una specie di socialdemocrazia senza democrazia (ma votare, si sa, non serve a niente). Nessuna voglia di giustificare chi prende a botte dei poliziotti. Proprio nessuna. Pasolini ha detto, a suo tempo, tutto quel c’era da dire. Ingiusto pure vedere come solo nostro un fenomeno che è di tutto l’Occidente. La crisi della democrazie, in fondo, è il prodotto ultimo del consumismo neo-liberista. Di una non-ideologia che, però, è stata tradotta in italiano e diffusa tra gli italiani, prima di altri e meglio di chiunque altro, da Canale 5, Italia 1 e Rete 4.

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