mercoledì 21 febbraio 2018

Una piazza abbracciata dai portici.

Le case colorate dei pescatori che guardano il mare. Il bianco abbacinante di case antiche quanto l’uomo. In Puglia o a Pantelleria. Una serata di quelle che si sta bene in maglietta. Gli amici di sempre. Le gambe snelle e abbronzate delle ragazze. Un Negroni, in onore di Gianni cui devo tanto. Una pizza margherita. D’inverno, un piatto di pizzoccheri come li faceva nonna. E un bicchiere di vino. E le caldarroste, il cibo poverissimo di tutta la nazione. I braschér, per me. Le rusedde, per un mio amico calabrese. Da qualche parte un nuovo Lamborghini ha appena litigato con un nuovo Ferrari. Un Raffaello e un Michelangelo si guardano in cagnesco. Naturale. Di una natura viscerale che, però, ha illuminato il mondo. E le chiese. E i palazzi dei signori. E i paesi che sembrano esserci da sempre. Partoriti dalla collina, dal monte o dalla pianura. Due etruschi che sorridono. Marito e moglie, con una coppa di vino in mano. Saranno morti, ma sanno godersi la vita. Cartoline e ricordi patetici di emigrato? No. Quello che dura; che resiste. Anche mentre l’uomo di Boccioni avanza, con quel suo ginocchio proteso come un rostro, tra i nuovi grattacieli di Milano o Torino. Anche mentre tutto sembra immobile. In bilico. Tra dramma e melodramma. I profumi del gelsomino che si avvinghia al pergolato e del caffè che sale nella moka. Dall’orto vecchio, oltre quel muro che pare aver letto Montale, la brezza della sera e l’odore di un gran cespuglio di rosmarino. Per quanto ci si possa impegnare a distruggerla, l’Italia di sempre. Non immutabile: eterna.

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