lunedì 15 gennaio 2018

Bombe pre-elettorarli.

Avevamo dato loro un nome. Erano una caratteristica del nostro paese. Un dato di fatto delle nostre vite. In tempo di elezioni, qualcuno, da qualche parte, avrebbe compiuto un attentanto per condizionare il voto. Lo sapevamo, ma non avevamo paura. E non mostravano paura le istituzioni. Saltavano per aria i treni e le stazioni eppure lo Stato ostentava fiducia. Lottava contro il terrorismo, ma usando le sole forze di polizia. Come se stesse affontando una forma di criminalità e non combattendo una guerra civile. Me lo dico osservando due bersaglieri. Impossibile non notarli. Siamo all’ingresso dell’aeroporto e loro mimetiche spiccano come bersagli tra i cappotti scuri dei passeggeri. Armi in pugno, vanno avanti e indietro, lentamente. Una scena della nuova normalità, in fondo. Parte del quotidiano anche in tante capitali europee. Militari armati tra i civili, come non accadeva neppure durante gli anni di piombo. Com’è caratteristica delle dittature, che usano le forze armate per mantenere l’ordine. Me lo dico, e mi sento preso in giro assieme a quei bersaglieri. Soldati per cui ho il massimo rispetto. Cittadini disposti a dare la vita per la Republica che non vorrei mai vedere sprecati a quel modo. Sì, sprecati. Con dei pesanti anfibi ai piedi, lo zainetto tattico e la maschera antigas al fianco, quasi non riescono a muoversi. Certo non con l’agilità che sarebbe necessaria in caso bisogno. E non potrebbero mai inseguire nessuno, a bordo del monumentale VM 90 che hanno a disposizione. Per il resto, qualunque cosa succeda, si spera solo che non commettano la follia di sparare. Imbracciano dei Beretta AR70/90. Dei fucili d’assalto. Difficile immaginare un’arma meno adatta a compiti di polizia. E più pericolosa, se usata in mezzo alla gente. Spara proiettili 5,56 x 45 mm Nato e ha una portata utile di cinquecento metri. (Ma la pallottola resta letale anche a distanza molto maggiore). In un luogo affollato, significa la certezza che ogni colpo mancato finisca per colpire qualcuno. Magari un poveraccio al capo opposto dell’aeroporto. Altro che sicurezza! Per giunta i terroristi sono fanatici, ma non cretini. Possono, e lo abbiamo visto, prendere di mira mercatini di Natale e fermate d’autobus anziché gli obiettivi che definiamo sensibili. Le linee Maginot sono inutili perché il nemico può attaccare da tutt’altra parte. Impiegati a quel modo, quasi come manichini, i soldati sono addirittura dannosi. Da un lato rassicurano, ma dall’altro inquietano. Ci fanno sentire in guerra; davvero impegnati in uno scontro di civiltà. Quello che i terroristi vorrebbero scatenare, per giustificare il proprio ruolo. Quello caro alla narrazione delle nostre peggiori destre. Ai partiti della paura. Agli antidemocratici che, in nome della sicurezza, puntano allo stato d’eccezione permanente. Forze che ormai sono dentro la nostra società. Che, come iene, torneranno a farsi sentire alla prossima strage, ma cui dobbiamo opporci con la forza della normalità. Facendo tornare in caserma quei due besaglieri. Perché anche loro e i loro fucili fanno campagna elettorale. E non necessariamente per il partito del ministro che li ha spediti a pattugliare quel terminal.

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