mercoledì 3 gennaio 2018

Salari e contratti di lavoro,

dovrebbero essere l'oggetto unico, o quasi, della campagna elettorale. Mentre le nostre aziende esportatrici infilano un record dopo l’altro, è evidente che la palla al piede del nostro sviluppo è il mercato interno. Un mercato che può crescere solo se i consumatori si ritrovano nelle tasche qualche soldo in più. Che ripartirebbe, anzi, se solo gli italiani sapessero di poter contare su redditi crescenti. Non è un mistero, infatti, che gli acquisti, specie di beni durevoli, siano decisi più che altro in base alle aspettative. Liquidate come dimostrabili fesserie i discorsi sui “disastri dell’Euro”, spernacchiati gli immaginifici colpi di bacchetta magica valutaria proposti fino a ieri da leghisti e grillini (che ora, in cambio, non propongono proprio niente), si tratta di far sedere a un tavolo Confindustria e sindacati per stilare un piano per il recupero del potere d’acquisto degli stipendi. Un piano decennale, di aumenti salariali costanti e predeterminati (diciamo un tre per cento l’anno) per fare in modo che i lavoratori italiani tornino a essere pagati perlomeno decentemente; con stipendi non troppo lontani da quelli del resto dell’Occidente. Una misura doverosa per mille ragioni che sarebbe resa ancora più possibile se agli imprenditori, chiamati a mettere mano al portafoglio, fossero garantiti degli “sconti di sistema”. Se, con una serie di riforme (certo: ho in mente, prima di tutto, quella della Giustizia Civile) si assicurassero loro migliori condizioni di lavoro. Tra queste, non può mancare una flessibilità della manodopera che, però, non può tradursi nella prosecuzione dell’attuale politica contrattuale. E’ giusto che esistano forme di lavoro temporaneo. Queste, però, hanno costi sociali nettamente superiori al lavoro a tempo indeterminato e, di conseguenza, devono costare di più. Si tratta, esattamente come per i salari, di fare esercizio di logica. Il lavoro temporaneo dev’essere, per le aziende, una possibilità cui ricorrere in caso di effettiva necessita, non un’altra maniera di sottopagare i lavoratori. Dev’essere, detto altrimenti, una pratica possibile ma scoraggiata. Capirlo, vorrebbe dire anche restituire delle prospettive concrete ai nostri giovani; far tornare il paese a guardare verso il futuro. Un paese che, invece, resta con gli occhi fissi sull’ombelico delle proprie inquietudini. Si andrà a votare pensando solo a sicurezza e immigrazione. A due problemi che, numeri alla mano, sono secondari o inesistenti. Colpa di un sistema informativo perverso che, un titolone dopo l’altro, ha creato una sensazione d’emergenza. Colpa degli avvoltoi e delle iene che popolano la nostra destra. Brillanti solo per protervia, monumentali solo per ignoranza, non sono in grado di proporre nulla di concreto, ma sanno sfruttare benissimo le paure, per quanto irrazionali, dell’elettorato. A sinistra si è fin qui cercato di seguirli. Sembrava un’idiozia. I sondaggi lo confermano: non bastano certo i “successi” di Minniti a far cambiare idea a chi voleva votare Lega. E ora? Si può marciare gioiosi verso la sconfitta o provare a imporre i propri temi. Anche correndo il rischio di scontentare qualcuno, quei temi. In realtà, se si guarda all’Italia per quella che è, di così importanti non ve ne sono altri.

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