martedì 23 gennaio 2018

E’ tornato,


con le scarpe col rialzo, i capelli in acrilico misto lana e tutto quanto.
E’ tornato anche in Europa, accolto a braccia aperte dagli altri del PPE. Un segno dei tempi. Di tempi cupi. Tenebrosi. Con i fascisti nelle strade e dentro i governi. Gli stessi fascisti che lui ha sdoganato; di cui si è sempre servito. Una verità, ma storica. Del passato. E lui è tutto nuovo. Non per i miracoli della chirurgia plastica, ma grazie a un’inspiegabile amnesia collettiva. Lasciamo stare le condanne penali, le nipoti di Mubarak, i bunga bunga e tutta una serie di figuracce personali collezionate in giro per il pianeta. Pare che nessuno ricordi che ha governato per un ventennio. In alcuni periodi con un potere pressoché assoluto. Padre e padrone di forti maggioranze parlamentari, oltre che presidente del Consiglio e unto del Signore. Nel sopranominato ventennio non ha combinato una cippa. Ha solo rimesso a posto i conti delle sue aziende (che, infatti, appena ha smesso di governare ...). Per il resto, nulla. Zero riforme. Anzi; no, una ma tragica, firmata da una macchietta nominata ministra dell’Istruzione. Nessuna visione strategica. Non in campo economico. Non in una politica estera condotta oltre i confini del ridicolo. Il tutto unito a una gestione dell’erario pressoché criminale. Con lui, con i suoi governi, alla faccia del liberismo, la spesa pubblica è sempre e solo aumentata. Nei quattro anni tra il 2001 e il 2005, in particolare, di 47 miliardi, pari al 22% del bilancio di allora. Un’emorragia, per cosa? Per offrire servizi migliori ai cittadini? Ma quando mai. Per comprare consenso, in perfetto stile mussoliniano e pentapartitico. Per sistemare parenti, amici e amicuzzi. Per finanziare il federalismo alla padana. Per mantenere regioni, dalla Lombardia al Lazio, diventate a loro volta centri di una spesa fuori controllo. Tutto questo, mentre il debito pubblico continuava ad aumentare. Allegramente. Sconsideratamente. Fino al 2011. Come raccontare quel che è accaduto quell’anno? Una gita in torpedone. La corriera Italia che corre sull’asfalto bagnato della crisi. Alla guida, un autista ubriaco che punta a tutta velocità verso un muro. Un attimo prima dello schianto, spaventato, molla il volante. Troppo tardi, perché lo schianto c’è, eccome. Rischiamo di fallire. Arriviamo a un nulla dal finire come l’Argentina. Nessuno sembra ricordarsi della botta, però. Solo dei dolori che sono venuti dopo e che durano ancora. E lui, l’autista ubriaco, può di nuovo sorridere. Sembra addirittura orgoglioso: fin che ho guidato io, pare voglia dire, è andato tutto benissimo. Lui è libero di crederci, se lo fa stare meglio. Noi no. Se ci sfiorasse la balzana idea di riaffidare il paese a lui, a uno dei suoi, o ai suoi eterni compari/complici leghisti, dovremmo correre da uno specialista. Perché ci aiuti a recuperare la memoria o, almeno, ci faccia sopravvivere al nostro masochismo.

3 commenti:

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  2. Hai ragione tu :"... la memoria da noi può essere una pericolosa malattia..."
    Smemorati funzionali.

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  3. La nostra storia è fatta di pietre. Non quelle dei palazzi e delle cattedrali. Quelle che mettiamo, regolarmente, sul nostro passato.

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