sabato 17 marzo 2018

“Comprendere” le “ragioni” degli “altri”.


Si deve, per contrastare la slavina leghista. E si devono usare quelle virgolette. Perché “comprendere” vale solo nel più stretto dei sensi. Non deve portarsi dietro l’idea di condivisione insita nelle tante analisi del dopo-elezioni che, forse per servilismo verso i vincitori, forse dando voce a pii desideri, tentano di spacciare il leghismo come fisiologico. Perché quegli “altri” non sono degli alieni o gli Hyksos di Benedetto Croce; sono una parte di noi. Sono come noi, ma mossi da ideali antitetici ai nostri. E da “ragioni” che con la ragione hanno poco a che vedere. Con loro è inutile impostare il confronto sul piano razionale; mostrare dati e statistiche. Non sono la reazione a un’inesistente invasione nera o araba. Sono figli di una crisi che non è quella economica. Non a caso abitano le regioni più ricche del paese. Sono il risultato italiano del trionfo neo-liberista. E del completo fallimento del consumismo: un modello di non-vita; una riduzione dell’uomo a ingranaggio che produce solo nevrosi. 
Un irato malessere psicologico è il vero fenomeno di massa di tutta la sterminata suburbia padana. Figlio della fine di ogni identità, prospettiva o sogno. Non ci sono più case del popolo né si frequentano le parrocchie, a Suburbia. Si sta soli. Con i volti dentro gli schermi per non pensare. Sono illuminanti i folli commenti che accompagnano gli affondamenti dei barconi. Grondano odio. Soprattutto invidia. Sì: invidia verso gli ultimi della terra perché, comunque, “non fanno un ca ...volo.” Non sono dentro il meccanismo del lavora-consuma-crepa. Dentro un tritacarne che non smette mai di funzionare. Neanche nel “pacchetto vacanze” acquistato con lo sconto. Neanche il sabato passato nel centro commerciale. 
Così va il mondo. Tutto il globalizzato mondo McDonald. Un deserto in cui la Lega offre i punti di riferimento minimi del sangue e della razza. In cui Salvini (già comunista padano) fa sentire se non altro una voce critica verso un capitalismo finanziario, e qui verrebbe quasi da ridere, presentato come prodotto delle “cosmopolite élite di sinistra.” Critica che si traduce in una fuga nel passato. In una combinazione di protezionismo e luddismo (la tassa sui robot...) che sarebbe disastrosa. Un vago nazional-socialismo che, per gli abitanti di Suburbia, è comunque più attraente della serietà e responsabilità che sono diventate l’unica cifra della sinistra. 
Una sinistra denaturata che, in fondo, ha promesso solo una continuazione del presente. Esattamente quello che l’abitante di Suburbia non vuole. Quello che la stessa sinistra, in tutta la sua storia, non ha mai accettato. Una sinistra che avrebbe tutto per riconquistare ampi consensi se solo ricordasse di essere sinistra. Se, oltre a far quadrare i conti, tornasse a proporre un proprio modello di società. Un proprio progetto contrapposto a quello localista. Fatto non solo di ragione, ma anche di sogno. A occhi aperti, con lo sguardo rivolto in avanti, verso un mondo che sarà comunque sempre più piccolo; dove i problemi saranno sempre più globali. Un sogno contenuto in una strofa di una canzone di centocinquanta anni fa. Quello di costruire, partendo dall’impegno sul territorio, magari tornando ad arrostire salamelle nelle feste dell’Unità, “l’internazionale futura umanità”.

Nessun commento:

Posta un commento