martedì 20 marzo 2018

Leggo quei commenti e, per reazione, penso al loro sorriso.

I commenti sono quelli, atroci, riservati alla ong che ha fatto arrivare nel porto di Pozzallo 218 migranti. La storia è su tutte le prime pagine. Un gommone zeppo di migranti. La nave della ong che li prende a bordo e, nonostante le minaccia di essere presa a cannonate, rifiuta di consegnarli a una motovedetta libica. Li porta in Sicilia, invece, guadagnando alla ong non una medaglia ma un’imputazione per associazione a delinquere. Nel paese delle tre mafie, per tragica ironia. In un paese che non sa più cosa è. Che ha perso l’anima. Che gronda di frustrazione, di odio. Di una cattiveria che muove sulla tastiera le dita di tanti. Di troppi che sognano un’Italia tutta bianca. Ingabbiata da sempre più divieti. Dove resta solo la libertà di conformarsi. Di essere come loro. I discendenti di quei due, che quei due non riconoscerebbero. Guardateli. Tutto, in loro, comunica apertura. Sicurezza di sé. Serenità. Se ne stanno lì, sdraiati sul loro triclinio, felici di essere assieme. Alla pari e con sulle labbra quel sorriso. Sorriso arcaico, lo definiscono gli esperti. Caratteristico della fase più antica dell’arte etrusca, dicono ancora. Il vero manifesto ideologico della civiltà italiana. Di quello che può essere l’Italia al proprio meglio. Il paese della Dolce Vita? Il paese che, quando se ne ricorda, sa cosa conta veramente. Tutto quanto sta dentro quel sorriso che dura da duemilacinquecento anni. Che era lì, su quelle labbra, prima che arrivassero gli imperatori e i papi. Che sarà ancora lì, tra cinque o cinquant’anni, quando saremo tornati a vedere la luce della ragione. Quando l’Italia smetterà di essere quella di oggi. Rancorosa. Spietata. Anche per chi la ama, soprattutto per chi la ama, irriconoscibile.


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